Il prossimo 8 giugno Messina avrà una grande opportunità per dimostrare di che pasta è fatta e per prendere ulteriormente le distanze dai recenti e imbarazzanti episodi di cronaca che hanno oltraggiato la grande storia di una città che non merita di subire l’infamia dell’intolleranza e del razzismo.

Il Pride 2019, in questo senso, non deve essere solo un’occasione per rivendicare i sacrosanti diritti del popolo Lgbtqi, ma deve essere una grande celebrazione di civiltà per tutti i messinesi, chiamati a scendere in piazza per far capire all’Italia intera quanto schifo ci facciano i commenti omofobi letti in questi giorni su Facebook, le minacce agli organizzatori,  le scritte razziste sui muri, i sempre più frequenti casi di violenza di genere e in generale l’odio “nero” che serpeggia per le strade e sui social. 

Nelle ultime settimane, da quando è stata annunciata la manifestazione arcobaleno, abbiamo assistito a un raro sfoggio di ignoranza, luoghi comuni, pregiudizi, ammiccamenti beceri da terza elementare e battute triviali, con riferimenti quantomeno curiosi alla decadenza della morale e ai precetti della religione (scritti da gente che del Cristianesimo ha capito poco o nulla).

Qualcuno, per giustificare i propri orizzonti ristretti, ha tirato in ballo i comportamenti degli animali, il concetto di pudicizia e persino i fondamenti dell’esistenza nel suo divenire biologico, senza rendersi conto, probabilmente,  di come le loro stesse “inferenze” logiche dimostrino in maniera lampante gli strani percorsi dell’evoluzionismo e le bizzarrie della Natura. Una “cosa”, questa, giusto per sottolinearlo, anche a rischio di sembrare pedanti, che prevede l’assassinio e lo stupro, la violenza di gruppo e l’incesto, la malattia e il dolore, la cattiveria e la stupidità. Ma anche gatti che si fanno il bidet con la lingua, il sesso orale (qualcuno ha visto mai un cane praticare una fellatio?), la fotosintesi clorofilliana e la processione degli equinozi. Tutte cose molto “naturali”, che non si capisce però cosa abbiano a che fare – detto molto brutalmente – con il fatto che qualcuno preferisca il cazzo o la fica. E perché debba per questo essere deriso, discriminato e considerato “contro natura”. O non debba godere degli stessi diritti di chi ha semplicemente altri gusti sessuali.

In linea di massima, fra coloro che hanno preso le distanze dal Pride possiamo distinguere due tipi di commentatori: i maschi e le femmine “alpha” che non si fanno problemi ad ammettere la loro ostilità, di cui vanno persino fieri, e quelli appartenenti alla categoria “non sono omofobo ma…”, ovvero centinaia di cittadini che non deporterebbero forse omosessuali, bisex e trans in un gulag siberiano ma che si dicono fortemente contrari all’ostentazione e alla rivendicazione dell’identità sessuale (quando è diversa dalla propria).

Insomma, è gente a cui dà fastidio vederli. È gente che magari fa pure lo sforzo di accettarli, ma più o meno come si accetta una malformazione genetica. «Che esistano pure, ma a casa loro, mucciati», è grossomodo il sunto delle loro riflessioni, che sotto la coltre di excusationes non petitae, proposizioni avversative e fughe in avanti contro gli aspetti più ludici della parata, nascondono un’intolleranza più o meno latente dettata in primo luogo dai pregiudizi. Ebbene, proprio loro dovrebbero essere i primi a scendere in piazza l’8 giugno, per rendersi conto innanzitutto di quanto siano ingiustificate, e pure un po’ stupide, le loro paure.

Oltre a ciò, c’è da chiedersi quale immagine di sé stia mostrando in questi giorni Messina, una città che ha ampiamente dimostrato negli anni di non essere né omofoba razzista e che di certo non può accettare che per colpa di pochi venga compromessa la reputazione e la dignità di un’intera collettività, con il continuo perpetuarsi dello stereotipo dei siciliani retrogradi, bigotti e “terroni”.

Non è il caso probabilmente di insistere con i soliti discorsi sul provincialismo e sulla necessità di un balzo culturale da paesotto a Città d’Europa, eppure non si può tacere di come il mondo là fuori vada avanti, proiettato verso un futuro che è multiculturale, multirazziale e laico. È così adesso e così sarà ancora di più nei prossimi decenni.

Per quanto possa non piacere, rifiutare il corso degli eventi, o peggio, non capirli, significa semplicemente essere avulsi dalla realtà. E più ci si chiude a riccio, più ci si incaponisce, più cresce la distanza fra la propria vetusta visione di mondo e il mondo reale, e più si corre il rischio che la semplice “divergenza di vedute” si trasformi in fanatismo, facendo il gioco di chi ha tutto l’interesse nel continuare a contrapporre due visioni antitetiche del mondo, instillando il dubbio che qualcuno voglia sottrarre i diritti a qualcun altro.

«Il Pride non è una festa – scrive il presidente di Arcigay Rosario Duca in una lettera indirizzata ai consiglieri comunali – Sbaglia tanto chi la vede in questo senso. Il Pride è orgoglio, voglia di riscatto per tutti quanti si vedono negati diritti fondamentali. Il diritto per la popolazione lgbt a vivere serenamente la propria vita, il diritto a chi ha la pelle di un altro colore a non essere giudicato, il diritto delle donne a potersi autodeterminate senza dover temere l’ira di chi l’amore lo coniuga alla violenza […]. Il diritto insomma di ogni cittadino a vivere la propria vita sociale senza dover temere il giudizio altrui. Fino a quando tutto ciò non avrà bisogno di essere rivendicato, il Pride non sarà una festa ma solo ed esclusivamente rivendicazione di diritti civili».

È partendo da questo assunto che l’8 giugno bisogna scendere tutti quanti in strada, uniti in un grande corteo arcobaleno: un’occasione importantissima per ribadire che “Messina, la Messina vera, è questa qui” e per ricordare a tutti, se mai ce ne fosse il bisogno, che viviamo nell’anno di grazia 2019.

Il Medioevo, quello più cupo della caccia alle streghe, è terminato ormai da un pezzo. 

 

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