SULLE SPONDE DEL DANUBIO. «Linea costituita naturalmente o artificialmente a delimitare l’estensione di un territorio o di una proprietà, o la sovranità di uno stato». Questa è la definizione che Google fornisce di “confine”. Ma cosa succede quando una staccionata, un muro o una catena montuosa diventano solo un intralcio banalmente bypassabile? “L’autorizzazione” ai governi a fare del loro giardino quello che vogliono. L’essere umano non avverte la divisione, le popolazioni si intrecciano, le linee continue sono solo su Google Maps e le culture si amalgamano in un agglomerato che parla la stessa lingua, solo con un accento diverso. Il quadro più ampio, quella fotografia che abbiamo scattato noi, è un connubio di storie e tradizioni che fanno di due città, spesso separate da fiumi che sembrano invalicabili, un unico luogo.
Potremmo parlare di Messina e Reggio Calabria, se solo comunicassero. Così come ne abbiamo parlato in giro per l’Ungheria, la Croazia, la Slovacchia, la Romania e la Bulgaria, visitando città che non solo si salutano dai lati opposti di un confine, ma che riescono anche a dialogare, sviluppando in toto, nel loro piccolo, quelle teorie di globalizzazione e collaborazione tra Stati che tutti anelano ma che nessuno vuole veramente. Perché ci vuole coraggio a dividere parte della propria autorità per essere grandi.
Ed è stata proprio questa apertura, che nel giro di poco meno di trent’anni, ha permesso a queste città di modernizzarsi, di crescere e risorgere dalle macerie di un conflitto mondiale e una serie di guerre civili, nonostante siano ai margini del proprio Stato e spesso vengano dimenticate. Komarom e Komarno, Ruse e Giurgiu, ma anche anticamente Buda e Pest: tutte accomunate dal Danubio, hanno superato i loro confini fisici, abbandonando le querelle per interessi personali e sostituendo l’astio con la cooperazione. Naturalmente, non sempre è tutto rose e fiori. O lo è stato in passato. Pure se con qualche passo in avanti rispetto agli anni precedenti, fra Ruse (BG) e Giurgiu (RO) il confine è ancora marcato. E anche se ogni mattina i pendolari fanno avanti e indietro come per andare da Messina a Reggio, devono alzarsi almeno due ore prima per superare i controlli.
L’altra faccia della medaglia è che spesso si comprende l’importanza di aiutarsi reciprocamente solo nel momento del bisogno. Il confine fra Ungheria e Slovacchia, dove sorgono Komarom e Komarno, è stato bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale con il solo scopo di completare una missione e conquistare la fiducia di alcuni superiori. Molte città raccontano una storia simile, segnata da culture predominanti, anche in diverse epoche, che le hanno assoggettate a un multiculturalismo obbligato che nel 2024, nel pieno (e inarrestabile) sviluppo della globalizzazione, fa percepire loro un vantaggio prospettico (e attitudinale) di quello che sarà il mondo prima o poi.
E se la coesione è il principale strumento del blocco per colmare il divario economico tra le regioni più ricche e quelle più povere, come si legge sul nuovo report della Commissione Europea, gli esempi di “unione” delle città visitate durante quei dieci giorni in giro per i Balcani potrebbero rappresentare la soluzione. Un’unione che, ricordiamo per quelli che non hanno letto la prima parte di questo blog, non è fisica e non ha nulla a che vedere con “l’avvicinamento”. E sempre per quelli che non hanno letto quella prima parte, sottolineiamo che non siamo stati in vacanza, ma a scoprire come gira il mondo (non neghiamo che sia stato divertente).
Adesso, immaginiamo che Messina e Reggio Calabria inizino a collaborare e non solo a essere i poli di sbarco di aliscafi e traghetti. Immaginiamo che oltre a guardarsi e pavoneggiarsi inizino a parlare (anzi, a dialogare). Immaginiamo che invece di contendersi il titolo di città dello Stretto (che, comunque, si chiama “Stretto di Messina”) lavorino insieme verso orizzonti comuni.
In una visione da generazione Z (che distrugge le barriere e rinnega qualsiasi frontiera impedisca di andare oltre), immaginiamo lo Stretto di Messina con due città, che ormai da anni aprono sempre più porte agli studenti stranieri (diventando sempre più multiculturali), incontrarsi per offrire ancora più opportunità. Immaginiamo Reggio Calabria e Messina avviare collaborazioni non solo oltre i confini nazionali ma anche su progetti comuni. Anche se continuiamo a vederle scannarsi a ogni derby (unica costante della nostra fantasia).
Se la coesione è quella politica che riduce il gap fra territori ricchi e territori poveri, immaginiamo città che parlano con i propri vicini.