MESSINA. Mentre il sindaco di Messina Cateno De Luca (che aveva presenziato alla manifestazione indetta dai sostenitori del sì, dicendosi favorevole da sempre alla costruzione della grande opera) preannuncia una proposta di referendum popolare (facendo seguito a quanto prospettato a marzo del 2019 da Musumeci e a luglio dall’Unione dei Siciliani), continua a tenere banco l’infinito dibattito sul Ponte dello Stretto.

A intervenire sul tema, fra i tanti, è l’architetto Giovanni Mangraviti, che riporta in auge il progetto dello Studio Samonà presentato al concorso internazionale di idee del 1969, che prevedeva una vasta modificazione del territorio e del tessuto urbanistico delle due sponde dello Stretto, di tutta la città di Messina e di Reggio Calabria e del loro intorno.

Di seguito il suo contributo:

«Nel maggio del 1969, in attuazione della Legge n° 384/1968, l’ANAS, in collaborazione con FFSS, ed in accordo con il CNR, bandisce un concorso internazionale d’idee per un “Collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il Continente attraverso lo Stretto di Messina”. Il concorso da un punto di vista della produzione di proposte progettuali, ingegneristico-tecnologiche e architettoniche con importanti implicazioni anche a carattere urbanistiche, ha ampio successo.

L’esito positivo dell’iniziativa si riscontra nel numero dei progetti proposti ben 144 e dei quali 12 vengono premiati (6 primi premi e 6 secondi premi). Di cui 9 ponti (dalle tipologie classiche a più campate, sospese o strallate), 1 galleria in alveo, 1 galleria appoggiata ai fondali, 1 galleria subalveo.

Due di queste idee presentano soluzioni particolarmente innovative e suggestive: quella del gruppo dell’ingegnere Sergio Musumeci (del cui gruppo di progettazione faceva parte il grande architetto urbanista Ludovico Quaroni), una elegante tensostruttura, e quella del triplo Tunnel in alveo ancorato al fondale marino a 30 metri di profondità, del gruppo inglese dell’ingegnere Grant.

 

 

Il territorio dello Stretto di Messina diviene, a partire da quell’occasione e per i decenni a venire, luogo ed occasione di studio, di nuove e continue speculazione soprattutto politico-ingegneristiche, che urbanistiche.

 

 

Uno dei progetti presentati che maggiormente mette l’accento su una visione non particolaristica, e non immediatamente tecnologica.costruttiva, ma con una più ampia visione utopica, poiché propone un amplissimo ridisegno del territorio dello Stretto cogliendone tutte le implicazioni e le potenzialità, è il Progetto dello Studio Samonà.

Questo non si limita a mettere in campo, come richiesto dal Concorso, il progetto di un manufatto che colleghi stabilmente le due sponde, ma fa dello stesso manufatto l’elemento ispiratore per l’intera ri-progettazione e ri-pensamento del territorio intorno ed attorno allo Stretto.

 

 

 

È un progetto, quello dello Studio Samonà che sa di, come sopra detto, utopia poiché evidenzia futuristicamente, con una visione moderna (non nel senso di attuale, ma di categoria che spinge verso una visione e modificazione progressita delle cose), le potenzialità di un territorio che ha molteplici ed importanti implicazioni macro territoriali. E lo fa mettendo in campo attraverso la proposta progettuale presentata, una vasta modificazione del territorio e del tessuto urbanistico delle due sponde dello Stretto, di tutta la città di Messina e di Reggio Calabria e del loro intorno.

 

 

Nel progetto si ipotizza il raddoppio del porto di Messina, portando le due città oltre i propri limiti urbani, disegnando cosi una estesa metropoli. È straordinaria la visione che viene fuori da una attenta lettura di questo progetto, è come se il gruppo Samonà genialmente abbia colto la strategica posizione della città di Messina all’interno dell’intero Mar Mediterraneo.

Crocevia da Nord a Sud, tra due continenti (Europa ed Africa) che qui si scontrano e incontrano (anche dal punto di vista tettonico) prima e poi cerniera tra due regioni Sicilia e Calabria che da secoli attendono di essere da un lato unite, e di economie e popoli che vogliono eliminare le cesure ed i limiti che il mare naturalmente impone.

Passaggio obligato tra EST e OVEST del Mar Mediterraneo, luogo di convegno, da secoli, tra culture e società lontane ma che ambiscono cospicue cooperazioni e produttive interconnessioni. Punto di convergenza di Civiltà e Società (Oriente ed Occidente) diverse, di economie che chiedono, attendono e auspicano sinergie moltiplicatrici.

Nella proposta progettuale del gruppo di Studio Samonà la geografia di questi luoghi di mito, dove la stratificazione storica si evidenzia anche nei toponimi, diviene canovaccio, tessuto, piano su cui imbastire un racconto che non ha fine.

Se mai quel progetto avesse avuto la ventura di un tangibile riscontro realizzativo, la città di Messina sarebbe diventata una metropoli che definire Capitale del Mediterraneo non sarebbe stato illusorio.

Tale progetto offre, forse anche in maniera un po’ visionaria, una futura visione per tutta l’area antropizzata dello Stretto di Messina dando l’opportunità, se colta, di riscatto da eventi che ad inizio secolo (terremoto del 1908 ed eventi seguenti) ne avevano cancellato storia e vitalità economica.

Ma cosi non fu, e pur riscuotendo apprezzamenti e ammirazione, per pochezza e/o miopia socio-politica la carta rimase carta.

Diversamente tutti i progetti di un attraversamento stabile prodotti negli anni a venire, sia prima che dopo l’evento Samonà, rimasero e rimangono chiusi nel loro particolarismo tecnologico ingegneristico e costruttivo.

A livello locale ma non solo, il Ponte sullo Stretto diversamente dalla visione utopistica proposta per la prima volta dal progetto Samonà, rimane tutt’ora il mostro da esibire e imbellettare (con i suoi 3 km di campata libera), l’esercizio tecno-virtuositico fine a se stesso, il fenomeno inutilmente unico, l’oggetto tecnologico-ingeneristico da esibire e da far ammirare, la meraviglia tecnologica da primato da ostentare.

Mentre a livello di paese di sistema Italia il nostro è uno Stato che ha da sempre dedicato scarsa attenzione al sistema infrastrutturale del territorio, ed in particolare si discosta volentieri dalle «grandi opere». Ed anche in quella fase storica di «decisionismo per la governabilità», negli anni ottanta, varie «grandi opere» sono state volenterosamente indicate, ma la sorte a queste toccata è stata un’ennesima chiara dimostrazione del fatto che prendere decisioni in materia infrastrutturale è problematico, soprattutto quando si tratta di opere con notevoli implicazioni sul territorio.

Determinare le ragioni di questo singolare atteggiamento, per un Paese che ha una configurazione geofisica problematica, il cui processo di industrializzazione era ed è ancora in atto, e che infine continua a doversi confrontare con uno squilibrio territoriale più che significativo, sarebbe interessante ma non facile. Ha pesato da un lato il sicuro malinteso e maleinterpretato progressismo socio politico culturale, che si legittima mediante controverse pulsioni per la difesa dell’ambiente e dall’altro la difficoltà nelle relazioni tra centro e periferia, tra Stato e comunità locali.

Piuttosto che fungere da stimolatore, moltiplicatore, acceleratore economico politico sociale, elemento che amalgama la continuità territoriale, che esalta la millenaria storia di contiguità antropo-geografica, il collegamento tra le due sponde ancora e ancora si avvita su se stesso quasi narcisisticamente in una infinita autocelebrazione fenomenico-tecnologica.

Anche il limitato sforzo di inserire il Manufatto Stabile nei Piani Regolatori della città di Messina, che si sono succeduti negli anni (dal Piano Tekne in poi) pur accogliendo in piccola parte il suggerimento del progetto Samonà, non hanno la visionaria prospettiva che quel progetto indicava. Nessuna connessione urbanistica con le altre aree urbanizzate dello Stretto: un dire nella notte che nessuno vede e che nessuno ascolta.

La città nelle sue componenti socio-politiche, quasi si autocompiace di essere in possesso di una idea (il Ponte sullo Stretto) che evoca meraviglie e sogni che producono concreti eventi positivi per pochi (i più furbi) e quintali di carta fine a se stessa.

Più che un sogno in solitario (il Ponte sullo Stretto), dovrebbe e potrebbe essere elemento attrattore, aggregante economie e popoli , stimolatore di politiche di sviluppo e progresso di tutte le aree urbane che gravitano attorno a questa particolare conformazione geografica, un dono da cogliere.

 

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