Ho già abbozzato, in un blog di qualche tempo fa, una mappa (virtuale, per carità!) degli intellettuali messinesi. Mal me ne incolse! Mi arrivarono critiche e risentimenti vari da ogni parte. Appresi in quella circostanza che gli intellettuali messinesi sono, tra l’altro, oltremodo permalosi.
Adesso provo a correggere il tiro allargando la focale, di modo che adottando il grandangolo e mettendo da parte il teleobiettivo nessuno possa sentirsi toccato. Rifletto dunque sul concetto di cultura, concetto con cui mi misuro pressoché quotidianamente da un bel po’ di anni, diciamo una quarantina o su di lì.
Molte persone, anche se adulte, vaccinate e viventi nel terzo millennio, ritengono ancora che cultura sia ciò che Cicerone intendeva quando parlava di cultivatio animi, un esercizio quasi ozioso e gratuito appannaggio esclusivo di chi ha studiato sui libri. Coloro che si dedicano a tale attività ritengono pertanto che sapere le cose equivalga a conoscere il mondo. Niente di più sbagliato. Da qui la nascita degli eruditi, degli intellettuali, di coloro che conoscono il loro sputo di territorio ma se ne stracatafottono di quanto avviene nel resto dell’universo creato.
Io ho imparato in anni lontani – faticosamente devo dire – che cultura è la straordinaria varietà di modi in cui gli uomini, tutti gli uomini, organizzano la propria vita in comunità, e l’insieme delle produzioni materiali, intellettuali e spirituali che conferiscono senso alla loro esistenza.
Da ciò, da tale idea e da tale consapevolezza, scaturiscono alcune considerazioni. Innanzitutto che tra le diverse forme di cultura esistono, certamente, differenze di grado o d’importanza, ma giammai di “valore”. Ogni forma di cultura espressa dall’uomo merita attenzione e rispetto, a condizione che non faccia del male ad alcuno attraverso la prevaricazione, la maldicenza, la violenza.
Publio Terenzio Afro metteva in bocca al personaggio di una sua commedia (il Cremete dell’Heautontimorùmenos): “Homo sum. Nihil humanum a me alienum puto”. Noi siciliani potremmo dire oggi: “Non ghiabbu e non maravigghia”! Non conviene meravigliarsi o scandalizzarsi per le diversità, qualunque sia il loro grado di distanza dalla nostra “normalità”, perché quasi sempre la vita si incarica di punire la nostra supponenza, quella che Giambattista Vico chiamava “la boria dei dotti”.
(Sia però chiaro che mi riferisco alle diversità, non alle turpitudini e a quanto vada contro l’umano. Il Nazismo, il razzismo e tutte le forme di intolleranza, tanto per fare degli esempi, sono turpitudini e vanno contro l’umano. Di esse abbiamo il dovere di scandalizzarci, sempre).
Allora, tanto per sintetizzare, gli zampognari che piacciono tanto al nostro Sindaco sono cultura, allo stesso modo (ma naturalmente in grado diverso) che la Suite Gayané di Aram Khachaturian, la Vispa Teresa, la Crocifissione di Sibìu, la briscola in cinque e i tesori nascosti, il tamburo sciamanico e il pellegrinaggio a Santiago.
Pensare di essere superiori, dall’alto scranno della propria cultura, rispetto alla meravigliosa varietà di forme culturali che attraversano e arricchiscono il pianeta è non solo azione da ignoranti e provinciali, ma da poveracci prigionieri del proprio misero baccello che impedisce ottusamente di dispiegare sguardi su altri angoli di mondo, su altre forme di vita e di umanità, su altre esistenze.
Rimane inteso che niente di quanto qui scritto, affermato o ipotizzato ha alcunché a che vedere con l’attuale Assessore alla Cultura del Comune di Messina. Ogni indebita connessione di quanto sopra enunciato con le vicende che riguardano costui viene fin d’ora da me fermamente respinta, e gli incauti calunniatori se la dovranno vedere con l’Autorità Giudiziaria!