Brevissima elucubrazione geopolitica.

A volte aiuta alquanto rivolgersi alla letteratura per comprendere la realtà. Altrettanto spesso anche la saggistica può facilitarci nel riflettere su quanto accade intorno a noi.

Ho ripreso a scorrere (non a leggere per intero, perché troppo mattone) L’epos eroico russo (Russkij geroičeskijepos) di Vladimir Jacovlevič Propp, e leggendo leggendo mi vien fatto di riflettere sulle motivazioni che hanno indotto il satrapo di Mosca a disporre l’invasione russa in Ucraina. Parlando dell’epos eroico russo (“una delle più grandi creazioni del genio popolare russo, come viene definita) il folclorista, che scrive nel 1958, traccia una linea di continuità tra lo spirito eroico e patriottico che caratterizzava le mitiche origini della Rusdi Kiev e il patriottismo sovietico che aveva dato prova di sé nella rivoluzione bolscevica e nel decisivo contributo sovietico offerto in funzione antinazista durante la seconda guerra mondiale. Alle origini di tale epos Propp pone lo spirito eroico del popolo russo, uno spirito che si alimenta soprattutto dei due elementi fondamentali, la lotta e la vittoria e che trova come suo protagonista l’eroe, colui che lotta “non per il proprio destino individuale, non per il benessere privato ma per i più alti ideali dei popoli di quell’epoca” (e, ci suggerisce l’autore, anche di quella a lui contemporanea). A tale epos sono altresì sottese una concezione medioevale del potere, del popolo e della religione, quest’ultima chiamata a far da puntello alle gesta dell’eroe nell’esercizio delle sue funzioni di campione in lotta per l’affermazione degli ideali nazionali. Come non pensare, a questo punto, all’incredibile (per noi occidentali) avallo offerto da quell’incredibile Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, l’alquanto odioso Kirill capo della Chiesa ortodossa russa, all’opera di macelleria condotta da Vladimir Putin nella sciagurata (anche se non priva di motivazioni geo-politiche) invasione dell’Ucraina?

Propp, nell’introdurmi pian piano nel mondo della poesia epica del popolo russo, dai canti fiabeschi dal carattere arcaico (le byline) a quelli dedicati alla resistenza del popolo contro l’invasione dei Tatari, fino a giungere a quelli moderni nati con la Rivoluzione del 1917, mi ha aiutato dunque a comprendere assai bene come sia da sempre patrimonio dei russi una concezione apocalittica della modernità. Essi, arrivati in ritardo (forse non ancora) rispetto all’Occidente nell’apertura verso i tanti aspetti che connotano le nostre giornate storiche, hanno avuto modo di esaminarne ciò che per loro è l’irrimediabile stato di decadenza. Al messianismo comunista si è così accompagnata una vera e propria mistica della tradizione utile, secondo la narrazione che essi continuano a farne, a frenare, se non a impedire, l’apertura a modelli culturali, mode, stili di vita e valori considerati distruttivi.
In questo senso è lecito affermare che la Russia ha vissuto la democrazia, quale la si intende in Occidente, la globalizzazione e la circolazione delle idee come un veleno in grado di corrompere silenziosamente corpi altrimenti sani della società tradizionale.
Anche l’India in fondo, nonostante l’exploit tecnologico, ha cercato – attraverso il sistema delle caste, abolito nel 1947 ma in realtà mai praticamente dismesso – di mantenere il legame con una tradizione percepita come baluardo contro i guasti della modernità.

Queste narrazioni, queste retoriche, quelle putiniane al pari delle indiane, delle cinesi e di non pochi altri stati del pianeta, vengono in realtà smentite dall’ambiguità con cui esse vengono propalate (vedi l’ideologia eurasiatista e antioccidentale di Alexander Dugin), e dalla contraddizione tra gli enunciati “ideologici” (il mantenimento di una purezza, a cospetto di una deriva etica occidentale) e la prassi reale di società in mano aoligarchi strutturalmente assai omologhi ai megacapitalisti de noantri.

La conclusione, assai triste, è che tanto l’Occidente quanto l’Oriente di questo nostro globo, il primo proteso a puntare unicamente su presunte “magnifiche sorti e progressive” in realtà basate su sfruttamento e diseguaglianze sociali, il secondo abbarbicato a una tradizione ormai rimasta unicamente come bandiera ideologica, come luogo di mitologie costruite a tavolino per offrire puntelli al mero esercizio del potere, quindi guscio vuoto che si nutre di valori che si pretendono ancestrali, tanto l’uno quanto l’altro hanno reso con i rispettivi imperialismi (esportare nell’intero globo la propria concezione del mondo) il pianeta sempre più irrespirabile, alienato a sé e alienante per tutti coloro che lo abitano.

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