MESSINA. Messina è alle prese con la promessa di una grande trasformazione. Quella che dovrebbe indurla a diventare – per usare espressioni ricorrenti sul web – “una città normale e come le altre”, ossia “moderna” e “in grado di sfruttare tutto il proprio potenziale”. Aspirazioni che saranno al centro di un convegno che si terrà il 31 ottobre, a partire dalle 9 e per tutto il pomeriggio, presso il Dipartimento Cospecs dell’Università di Messina, in Via Concezione 6 (nei pressi della Villa Mazzini). 

Si tratta di aspirazioni legittime, che mettono a nudo quel “complesso di arretratezza” che costituisce una delle articolazioni della Questione meridionale. Un complesso che nasce da confronti improbabili con realtà poste per lo più nel nord del Paese e che spinge a individuare responsabilità locali per una situazione che si ritrae come degradata.

Il complesso dell’arretratezza si intreccia in tal modo con quelli della “civilizzazione” e della “civiltà mancata”. A giudicare dal linguaggio dei social media locali, dagli “sporcaccioni” che seminano la spazzatura per la città ai fracassoni che fanno rumore con le proprie autoradio, passando per generiche chiamate in causa delle amministrazioni del passato, la città va a caccia dei propri fantasmi. 

Scompare così dal quadro ogni riflessione e memoria di come una certa situazione sia l’esito di una riorganizzazione dei rapporti tra Stato ed enti locali, in materia di trasferimenti e finanziamento dei servizi fondamentali, iniziata negli anni novanta del secolo scorso. La nostalgia per la Messina di molti decenni orsono – molto presente nelle pagine web locali dedicate alla città di una volta – è in realtà la nostalgia per un modello statale che guardava ai servizi (dalla spazzatura e l’edilizia pubblica alla scuola e alla sanità) non come a beni da amministrare e far funzionare con logiche aziendalistiche, ma come beni pubblici fondamentali che potevano giustificare eventuali passivi di bilancio. 

La sporcizia di Messina o le condizioni delle sue strade sono, innanzitutto, il frutto di quelle politiche iniziate grosso modo negli anni novanta del secolo scorso, che sono state accolte come una panacea contro il debito pubblico e un modo per rendere più efficiente e moderno il paese secondo gli stili provenienti dall’Inghilterra thatcheriana o dagli Stati Uniti di Reagan e Clinton. Le lamentele di oggi, dunque, sono la risposta a quei discorsi e quelle trasformazioni la cui importanza non fu al tempo compresa da molti italiani rimasti passivi e indifferenti rispetto a quanto accadeva. Trasformazioni, inoltre, che vennero certamente ben accolte da molti politici che ne intravedevano interessanti possibilità in termini di alleanze con le imprese di servizi e la creazione di nuove “clientele” di alto profilo economico. 

Il complesso di arretratezza di Messina nasce anche dal proliferare di miti sulla differenza tra questa città ed altre situate a nord oppure all’estero. La improbabile aspirazione a fare diventare Messina “una piccola Svizzera” – la stessa che emerge sovente da commenti on line – non tiene presente che non solo la situazione di Messina è alquanto diversa da quella della Svizzera, ma che lo è quella dell’Italia in genere. 

Analogamente questo senso comune diffuso ignora che i luoghi immaginati come civili combattono con problemi oggettivi e percezioni che sono simili a quelli incontrati dei messinesi. Cosicché, in certi momenti e contro ogni aspettativa, la questione “degrado” si pone in termini analoghi persino in Svizzera. Per non parlare, poniamo, di Parma, Torino o di qualsiasi altro luogo identificato dai messinesi come “decoroso”.

Non a caso le politiche di risposta a queste percezioni sociali sono maturate dapprima nelle aree più opulente del paese e sono approdate solo decenni dopo nel Meridione. Tutti, da nord a sud, pensano infatti di essere assediati da forme di degrado. 

E il meridionale trasferitosi al nord che non partecipa di questa percezione e celebra anzi la “civiltà” dei luoghi che ospitano, lo fa perché accecato dalla comparazione immediata tra luoghi di provenienza e luoghi di arrivo. Ma una volta trascorso il tempo e adattatosi al nuovo ambiente, alla cultura e alle percezioni locali, anch’egli troverà frequentemente di che lamentarsi, notando differenze rispetto al momento dell’arrivo e coltivando nostalgie del prima.

Sul piano strettamente messinese, comunque, l’adozione di politiche urbane sperimentate al nord e tese a depurare lo spazio di accattoni, ambulanti e rifugiati serve a rispondere a bisogni culturali ed economici diversi. Se il nord soffre di un complesso di assediamento causato da “nemici esterni” come gli immigrati, Messina combatte in parte contro queste stesse presenze, ma, soprattutto, contro i “nemici interni” (gli incivili, gli ambulanti, gli “ignoranti” e i poveri che riproducono una cultura della marginalità sociale. Ciò che possiamo chiamare il “basso”).

La lotta contro questi nemici interni è dunque, innanzitutto, la lotta della piccola-borghesia che sostiene il governo locale contro chi si colloca in questo “basso” e minaccerebbe, con la propria presenza rumorosa e con la propria dubbia competizione commerciale, i nuovi e i vecchi investimenti.

Le nuove politiche urbane sono pertanto l’esito di un’alleanza tra un governo locale e una classe sociale. Ma, in una situazione di debito stratosferico, le politiche contro l’ambulantato o contro la prostituzione sono anche un modo di fare cassa. Ossia di reperire persino le briciole necessarie a garantire il funzionamento della macchina comunale. 

Senza tanti riguardi per il fatto che le attività economiche irregolari sono in primo luogo una necessità in una città in cui – secondo i dati dello stesso Comune  (Messina in cifre, 2019) –  un terzo della popolazione guadagna al massimo diecimila euro l’anno. E senza cura del fatto che molte di queste politiche o minacciano ulteriormente la sussistenza di numerosi nuclei familiari oppure si collocano esse stesse su piani giuridici delicatissimi, posti ai margini estremi della legge e della Costituzione per gli effetti che hanno sui diritti fondamentali della persona.

Di queste ipotesi e di molto altro si discuterà il 31 ottobre alle h. 9 presso l’Aula Magna del Dipartimento Cospecs dell’Università degli Studi di Messina (nei locali dell’ex Magistero), nel corso della giornata di studi “Frizioni urbane. Governo dei margini e sicurezza dei diritti”. 

Alcuni dei più importanti studiosi italiani di questioni urbane e della sicurezza presenteranno gli esiti di ricerche relative ai temi sin qui discussi e, nel pomeriggio del 31 ottobre, si impegneranno in una tavola rotonda con quella esigua rappresentanza politica che ha accettato di confrontarsi su tali questioni insieme al mondo della ricerca. Mancheranno, purtroppo, i vertici di quella Giunta comunale – il Sindaco Cateno De Luca e l’assessora Dafne Musolino – che per mesi si è tentato di coinvolgere nella stesura del programma, ma che non hanno ritenuto di doversi confrontare con una iniziativa che aspira a mettere in connessione l’università e le sue conoscenze con il territorio.    

Rassicurando chi fosse interessato – ma anche dubbioso – del carattere vivo e non “accademico” dell’incontro, la cittadinanza è caldamente invitata a partecipare. 

Qui il programma completo. 

 

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