“Una crudeltà singolare, raramente registrata negli archivi giurisprudenziali”, sono le parole del gip, Salvatore Pugliese: sintetizzano la spietatezza del 44enne, Francesco Simone che per anni ha torturato i genitori di Domenico Pelleriti, scomparso 25 anni fa. L’uomo, un operaio della  Provincia, che per 10 anni aveva “inscenato una teatrale tragedia”.

Il figlio Domenico era stato ucciso nel Marzo 1993 per aver rubato un camion carico di ceramiche a persone che pagando il pizzo godevano della protezione della mafia locale. Ucciso e sepolto in un terreno a Terme Vigliatore: questo ha raccontato il collaboratore, Nunziato Siracusa, nel 2015. Già dal 2011 le rivelazioni del boss dei Mazzarroti, Carmelo Bisognano, avevano permesso agli uomini della Dia e ai magistrati della Dda di Messina di rintracciare un vero e proprio cimitero di mafia: almeno 33 persone scomparse nel barcellonese sin dagli anni ’90. Alcuni corpi grazie alle testimonianze dei collaboratori furono rintracciati. Quello di Domenico Pelleriti non è tra questi.

È questa la circostanza che permette a Francesco Simone di continuare nella incessante richiesta di soldi ai genitori di Domenico. Almeno fino a quando la sua convivente non si presenta alla stazione dei Carabinieri di Montalbano per raccontare tutto. La donna, probabilmente stanca dei maltrattamenti subiti dal compagno, il 7 dicembre del 2017 descrive i momenti in cui Simone si chiude in bagno o nella stanza da letto avvertendola di non entrare: “Con cadenza giornaliera, contatta telefonicamente i genitori – così riporta la donna nel verbale dei Carabinieri – riferendo a me di non entrare nella stanza dove avrebbe dovuto effettuare una chiamata di lavoro, stanza da letto o bagno. Una volta chiuso nella stanza contatta i Pelleriti, ai quali riferisce che Domenico è vivo, vive al nord Italia, ed è in contatto giornaliero con lui, al quale richiede denaro per delle cure mediche. In particolare riferisce che è malato e se loro non gli mandano i soldi tramite lo stesso Simone questi morirebbe sicuramente. Poco dopo i contatti di norma con cadenza bisettimanale, Simone si reca a Basicò per ritirare il denaro che i coniugi puntualmente gli consegnano, convinti di aiutare il figlio Domenico”.

Ma sono i particolari delle telefonate che restituiscono la misura della vessazione a cui erano sottoposti con l’inganno i genitori di Domenico. Giuseppe Pelleriti di 79 anni e la moglie Vincenza di 81, vengono chiamati con una costanza spaventosa. Dopo le dichiarazioni della ragazza, infatti, gli inquirenti sono increduli, la storia è talmente assurda che non sembra credibile. Ma già dalle prime indagini è chiaro che la versione della donna corrisponde a realtà.  Così acquisiscono i tabulati: sono 2081 le telefonate che il 44enne fa ai due anziani nell’arco di un anno, dall’1 gennaio del 2017 all’1 gennaio del 2018: più di 5 al giorno, anche di notte (una telefonata è per esempio registrata alle 2.31 del mattino).

E in questo numero impressionante di contatti non mancano i momenti drammatici: la mamma del ragazzo morto piange quasi sempre al telefono, i due sono infatti ormai senza i soldi per acquistare benzina o beni alimentari. Questo risulta dalle intercettazioni dei Carabinieri negli ultimi mesi. Quando i Pelleriti fanno presente le difficoltà economiche, Simone diventa brusco, bestemmia, chiude violentemente la chiamata con una chiosa drammatica: così il figlio morirà. Ogni cura 100 euro, altrimenti i medici di un ospedale non meglio precisato di Roma non andranno avanti con la terapia per il figlio. Subito dopo aver chiuso la telefonata, l’uomo ricontatta i genitori fingendosi il figlio malato. L’anziana madre si dispera, contatta più volte la sorella per chiederle soldi in prestito, si spinge fino ad indicarle di frugare nelle tasche della nipote, figlia della vittima scomparsa nel ’93, per prenderle i soldi. Puntualmente pagano, con cadenza bisettimanale, per dieci anni, che è il periodo di tempo al quale sono risaliti gli investigatori ma potrebbe anche essere più esteso. Un periodo tanto lungo da portare i due poveri genitori sul lastrico, nella vana speranza di aiutare così il figlio, riducendosi, anno dopo anno “psicologicamente all’annullamento della stessa voglia di vivere, ad uno stato di sofferenza incommensurabile costante e perdurante da anni”, così sottolinea Pugliese. Minacce, violenza psicologica che subiva anche la convivente di Simone a cui ha messo fine solo lo scorso dicembre. Pochi mesi di indagini sono serviti agli inquirenti per fermare l’uomo. Per i due anziani nonni la tortura è finalmente finita.

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