MESSINA. All’inizio è stato “Gaetano detto Sciacca”, poi “Placidino”, quindi “Renatuccio”, “Gargamella” e “l’assessore Coca Cola”. Finita la campagna elettorale sono stati i “fancazzisti”, dipendenti e dirigenti, quindi i consiglieri comunali. Senza dimenticare i sindacalisti e pure qualche “coglioncello” di tifoso, qui e là. Oggi tocca alla stampa. Domani forse a qualcuno di voi.

In questi quattro mesi abbiamo assistito a un incessante attacco a 360 gradi nei confronti di magistrati, avversari politici, comuni cittadini, dipendenti pubblici e chi più ne ha più ne metta, con accuse, insulti e insinuazioni, spesso e volentieri scevre di riferimenti concreti, in cui non sono mancate allusioni alla mafia, alle lupare e a non meglio identificate lobby e consorterie.

Una “guerra” costante contro tutto e tutti che è diretta conseguenza di una “strategia della tensione” utilizzata scientemente come mezzo di propaganda politica e di persuasione delle masse. L’obiettivo, ça va sans dire, è lo stomaco degli elettori, chiamati costantemente “alle armi”, in piazza e sui social, con metodi comunicativi che già in passato hanno mostrato la loro efficacia, come dimostra la recente campagna elettorale improntata sulla costante delegittimazione degli avversari, esattamente come avvenuto in passato a Fiumedinisi e Santa Teresa di Riva. Cambiano i nomi, gli avversari e i “nemici pubblici”, ma le dinamiche sono sempre le stesse (del resto basterebbe andarsi a rivedere i comizi-spettacolo delle precedenti tornate elettorali). È un metodo che funziona, e Cateno De Luca, che nel frattempo rilancia la sua candidatura alla Presidenza della Regione, il suo vero grande obiettivo mai celato, strizzando l’occhio al “nemico” Pietro Navarra, questo lo sa bene.

La strategia della tensione ha prassi consolidate, che non possono prescindere dalla creazione di un nemico. Che siano i migranti, le banche, le multinazionali o gli attacchini di Palazzo Zanca non ha molta importanza: quel che conta è che il fantoccio da bruciare in pubblica piazza faccia tanto fumo. E che attiri gli avvoltoi.

A finire nel mirino del primo cittadino adesso è la stampa, caduta nei giorni scorsi nel tritacarne dei social per aver osato contrapporre una visione diversa delle cose rispetto alla realtà raccontata dal sindaco sul suo profilo Facebook. De Luca non ama troppo il contraddittorio, né in Aula, né in piazza, né a quanto pare sui giornali, che in questi mesi neri carichi di tensione hanno più volte messo in luce le tante incongruenze di un’amministrazione “rivoluzionaria” più sui social che nei fatti, dalle nomine “cencelliane” allo strano concetto di “anticasta” del sindaco sceriffo.

L’ultima polemica è sull’Atm e sul tram: un argomento molto amato da De Luca, che in merito ha detto tutto e il contrario di tutto, alternando invettive strillate sui conti dell’azienda (con almeno 4-5 versioni diverse sui debiti della partecipata) a progetti fra i più disparati, dalla monorotaia volante all’abolizione totale del servizio, fino al nuovo misterioso progetto alternativo all’attuale linea tranviaria. Il nemico, oggi, ha il nome e il cognome di Sebastiano Caspanello della Gazzetta del Sud, che “ha rotto le scatole al sindaco con le sue solite congetture”, che a quanto pare, senza entrare nel merito della questione, sono di sola pertinenza del primo cittadino.

Ma il problema non è la presunta privatizzazione dell’Atm, e nemmeno il tram. Il problema vero, per De Luca, è che nel suo grande progetto politico a lungo termine sembra non esserci spazio per le voci fuori dal coro, che vanno messe alla berlina sui social o direttamente “prese a calci in culo”, come scrive lo stesso sindaco nei commenti a un suo post: un linguaggio del resto perfettamente in linea con una precisa strategia di marketing improntata sulla costante e reiterata ricerca del consenso. In tal senso, non è poi tanto anomalo il tentativo di attirare costantemente l’attenzione su di sé, con quotidiani “colpi di teatro” sempre più eccessivi e creativi.

Mettendo da parte considerazioni ovvie e demagogiche sulla democrazia e sul ruolo della stampa (che beninteso non è mai esente da colpe, che sia chiaro e giusto per evitare che questa possa diventare una difesa corporativa), ed evitando di tirare in ballo l’articolo 21 della Costituzione, il rischio che si corre, adesso, è che tirando troppo la corda si possa oltrepassare facilmente il confine sottile che separa l’avanspettacolo dalla politica delle urla e dell’infinita caciara. Quella sì parecchio affine alla “spazzatura”.

 

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