MESSINA. Porta Messina, il portico delle Poste e Piazza Ottagona devastati dal terremoto del 1908. Sono le immagini ritratte negli acquerelli di O’Tama Kiyohnara a pochi giorni dal sisma che rase al suolo Messina. Le opere superstiti dell’artista, probabilmente parte di un corpus più ampio, forse addirittura un intero volume di acquerelli dedicato alla città di Messina, raccontano la città post terremoto e sono esposte alla GAMM del Palacultura.

L’artista, di origini giapponesi, è emigrata in Sicilia nel 1882, più precisamente a Palermo, dove visse nel pieno il clima artistico del periodo con il marito Vincenzo Ragusa, scultore e fondatore della prima scuola di arti applicate in Europa. Illustratrice e reporter, è diventata in poco tempo anche direttrice della sezione femminile dell’istituto d’arte palermitano, che ancora oggi porta il suo nome.

A raccontare O’Tama (così si firmava) e il suo amore per la Sicilia è l’art blogger Adriana Cannaò, che sul suo profilo Instagram “a.criticona” sul blog “La criticona” e sulla sua pagina Facebook rilegge il mondo dei beni culturali messinesi e siciliani sotto una luce diversa.

«Queste finissime vedute – ha commentato Cannaò – mostrano brandelli della città, macerie, pozzanghere, ritratte con la stessa dignità con cui si vuol carpire ogni dettaglio di una veduta della città eterna. A far capolino tra i ruderi ancora qualche figura umana, simbolo della vita che persiste e continua. Scorci urbani dettati da relitti di architetture di valenza simbolica, quasi fotografie. È cosi che oggi recuperiamo l’immensa storia di Messina, da quei pochi brandelli del sisma che la successiva incuria ha risparmiato.»

«Nei ritratti della città devastata ho trovato tanta sensibilità, molto affetto – prosegue – perché di fotografie di macerie ne abbiamo viste tante. Quello che O’Tama ha fatto è stato prendere un pennello e accarezzare la carta con del colore restituendo l’atmosfera e il fascino che la città doveva avere originariamente. Anche il fatto che abbia deciso di abitarle le macerie, perché c’è una figura umana, anche se piccola, un po’ vuol dire che la città realmente non è morta: c’è qualcuno e la vita continua.»

«Mi accorgo giorno per giorno che è raro voler condividere ciò che si sa, ma questa città ha bisogno che la gente condivida la bellezza, ciò che abbiamo e sappiamo. Anche se sono solo frammenti, abbiamo bisogno anche di questi piccoli elementi», conclude.

 

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