Il Ponte ferroviario di Gazzi

 

Mentre stavo scrivendo, pensavo, ma io a sud di Messina che punti fermi vedo? Quale ingegneria architettonica o architettura dell’ingegneria è un punto fermo?

Ho provato a pensare, a selezionare, ma niente, a bruciapelo nessun oggetto costruito, nessuna attrezzatura, nessun  edificio  mi sembrava essere capace di far fermare le pupille.

Poi ho deciso per un pezzo di ferro, il ponte ferroviario di Gazzi che nel mio immaginario adolescenziale era l’ultimo confine a sud della vecchia idea di città centrata sul piano Borzì; era la prima fine della città, il suo limite aldilà del quale la fabbrica della birra, i mulini, le torrefazioni e le fabbrichette sfumacchiavano dalle ciminiere. Vero che sto diventando vecchio, perché ora la città si è spostata o disintegrata molto più in là e il suo estremo a sud è ora il centro commerciale con il cinema.

Un taglio inclinato delle ferrovie attraversava la strada sul rilevato, dove si univano le due città,  quella delle casette dei ferrovieri e degli ultimi isolati con le corti e quella delle propaggini industriali, lì ci stava e assolveva la funzione, il Ponte di ferro nero come il vapore, una trave reticolare del Tipo Warren di quelle fatte a quadrati con aste diagonali oblique, una trave di ferro che suonava duro e stridente a ogni passaggio di treno.

Una doppia trave reticolare che se prima portava treni adesso non porta più niente.

Eppure mi pare di capire che il ponte ferroviario di Gazzi resiste per la capacità di marcare il territorio urbano e diventare un punto fermo comprensibile persino a chi ha dimenticato o a chi non ci ha visto mai passare sopra neanche un treno.

 

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