MESSINA. Per anni, Carlo Borella è stato probabilmente il più importante tra gli imprenditori messinesi che si occupavano di costruzioni e movimento terra, e non solo per il ruolo da presidente dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili messinesi: questo prima che l’azienda di famiglia, la Demoter, dichiarasse fallimento e fosse inghiottita in un vertice di vicende giudiziarie che hanno portato Borella in carcere, la prima volta per bancarotta fraudolenta, la seconda oggi.

La Demoter era la più importante impresa messinese nel settore del movimento terra, è stata azzoppata dalla mancanza del certificato antimafia (e conseguente interdittiva): ha licenziato 350 dipendenti, si è trasformata, e poi è arrivato il fallimento, qualche mese dopo la sospensione dellʼinterdittiva antimafia nel 2012. Nel tentativo di salvarla, Borella aveva creato la Cubo Srl e chiesto il concordato in continuità. Alla Cubo era stato trasferito il ramo d’azienda produttivo della Demoter, i lavori pubblici, e secondo gli inquirenti anche altro, con distrazione di fondi dall’azienda fallita e continuando a farla operare “sotto mentite spoglie”, con la complicità di chi avrebbe dovuto per legge controllare e non lo ha fatto.

La parabola discendente della Demoter è nei numeri: due milioni di euro di risultato operativo nel 2008, un valore stimato in sei milioni e mezzo, un utile “ante imposte” di oltre un milione. Qualche anno dopo il crac: i debiti che l’impresa avrebbe dovuto onorare erano circa ottanta, considerando anche le società consortili delle quali faceva parte. Senza di esse, la massa debitoria si riduceva ad una cinquantina di milioni. E i creditori? In tutto 832. Lʼorganigramma societario della Demoter presentava gran parte della famiglia Borella: dal padre Benito, amministratore unico, ai fratelli Zelinda (tutti e due azionisti al 25%), Claudio (15%), Domenica, Letizia (entrambe con il 5% di azionariato), per arrivare a Carlo (per lui il 25% di azioni), fondatore dellʼimpresa. E il “portafoglio” lavori? Vastissimo. A Messina non c’è stata opera pubblica, negli ultimi quindici anni, in cui il colosso della famiglia Borella fondato nel 1978 non fosse presente: a Giampilieri a scavare tra le macerie dellʼalluvione, al campo nomadi di Maregrosso per demolirne quanto ne restava dopo il trasferimento dei Rom, in via Garibaldi, nelle nove piazzette tematiche, come azionista a poco più dell’11% nella Società di trasformazione Stu Tirone (partecipata dal Comune al 30%), quindi le commesse milionarie delle Ferrovie dello stato. E poi ci sono i rapporti con il Comune di Messina. Sempre controversi. A 2011 novembre, la Demoter è uscita vincitrice dal lodo arbitrale per l’appalto della costruzione dello stadio san Filippo. Il collegio ha accolto due delle quattro riserve dell’impresa di costruzioni, condannando Palazzo Zanca al pagamento di poco meno di un milione di euro. Per aver lavorato agli svincoli, la Demoter ha presentato un’ingiunzione di pagamento da 4,7 milioni. Poi, prima della caduta, lo spostamento degli affari in direzione Africa.

 

 

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