MESSINA. “Monaci sullo Stretto: una proposta di rilettura per l’architettura ‘basiliana’ tra i due mari” è il titolo della lezione/presentazione che si svolgerà il 12 marzo, alle ore 15,30, presso l’Aula magna del Dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università degli Studi di Messina.

Protagonista dell’appuntamento sarà Antonio Tranchina, introdotto da Roberto Cobianchi e Giovanni Giura, Docenti di storia dell’arte del DICAM, preceduti dai saluti istituzionali di Giuseppe Ucciardello (Direttore del Dipartimento).

La lezione prende le mosse dalla presentazione di “Monaci sullo Stretto. Architettura e grecità medievale tra Sicilia e Calabria”, scritto dallo studioso e pubblicato da SilvanaEditoriale nel 2023. Al centro del volume, il ruolo che, nel variegato orizzonte della Sicilia normanna, i cristiani di cultura greca ebbero nel plasmare gli apparati di potere e l’immaginario del sacro. Gli “uomini del Nord” favorirono i monaci di tradizione bizantina e la loro naturale tensione verso il modello di Costantinopoli e del monte Athos, che trovò espressione nelle nuove confederazioni monastiche create in sud Italia a partire dallo Stretto di Messina. Di questa vicenda, il volume illumina gli aspetti artistici, soprattutto la sperimentazione dei formati più adatti a un’edilizia religiosa di rinnovato prestigio, culminante nel XII secolo con il successo della chiesa cupolata a tre navate. Lo studio dei monumenti sopravvissuti e l’inedita attenzione per quelli scomparsi, attraverso una serrata rilettura di materiali e fonti scritte, consente di ripercorrere la genesi del fenomeno da una parte e dall’altra del canale, con un crescendo di caratteri strutturali, estetici e funzionali pensati per l’architettura e i suoi arredi.

 

Il libro racconta lo Stretto, Messina, il monachesimo, le chiese “basiliane”, “bizantine” e “italo-greche”, soffermandosi su “Il venerabile tempio col santo monastero dell’Acroterio” perduto e superstite del Santissimo Salvatore in lingua Phari, allargando lo sguardo sui monasteri greci nel Valdemone (e sui diversi tipi di pianta degli edifici sacri) e approfondendo quello che l’autore definisce il “confine” di Agrò, con la chiesa dei Santi Pietro e Paolo.
La lezione di martedì insisterà su alcuni fra i temi del volume, attraverso cui discutere problemi e spunti di metodo, insieme agli esperti e agli studenti presenti in aula. In particolare, sarà ripercorsa la vicenda del perduto monastero del Santissimo Salvatore in lingua Phari, un tempo esistente sulla Zona Falcata di Messina. Fondato da Ruggero II e inaugurato poco dopo la creazione del Regno di Sicilia (1130), fu convertito in modo permanente in presidio militare spagnolo intorno al 1540 e la chiesa rovinò in un incendio, il 13 luglio 1549. L’immagine del complesso è tramandata in due raffigurazioni pittoriche quattrocentesche; l’analisi di queste testimonianze, insieme a materiali grafici e a fonti scritte di età medievale e moderna, consente di apprendere i caratteri salienti dell’architettura e della decorazione interna e di collocare quell’importante episodio di committenza regia entro il più ampio quadro della Messina normanna e dell’architettura sacra per il monachesimo greco dell’area calabro-sicula. A partire da questo ruolo apicale della fondazione messinese, è possibile tentare una rilettura della seriazione cronologica delle chiese ‘basiliane’ ancora esistenti nel Val Demone e di quelle mutile o perdute nella Calabria meridionale, provvedendo a un’interpretazione globale del fenomeno, che tenga conto del crescente successo del monachesimo greco sotto i Conti e i Re normanni di Sicilia. Fino alla metà del XII secolo e ancora oltre, questi monaci furono attori di primo piano nella scena religiosa e politica dello Stretto. Alla luce di questo riesame, la struttura delle loro chiese, a lungo associate all’Ordine di San Basilio (una nomenclatura creata però nel Duecento), non appare più come semplice ‘contenitore’ architettonico, frutto magari della sottomissione alle ‘influenze’ latine, ma diviene capace di esprimere una cultura e un’identità ben individuata: quella della componente greco-cristiana entro la compagine multiculturale del Mezzogiorno medievale.

Antonino Tranchina è assegnista di ricerca all’Università di Bologna, nell’ambito di un progetto con la Fondazione Federico Zeri, e docente a contratto presso l’Università di Udine. Ha studiato Lettere e Arti visive all’Università degli studi di Palermo e di Bologna e ha conseguito il dottorato in Storia dell’arte alla Sapienza di Roma; è stato borsista postdoc alla Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la Storia dell’arte, dove ha lavorato anche come assistente scientifico della Direzione. La sua produzione è focalizzata sulle arti e l’architettura del Medioevo alto e centrale tra l’Europa e Bisanzio, con particolare attenzione al sud Italia.

 

 

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