MESSINA – Mario Briguglio e Giuseppe Buzzanca non andavano assolti, questo sostiene la procura generale di Messina che ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello che lo scorso luglio ha ribaltato la sentenza di primo grado, assolvendo gli ex sindaci.

Il procuratore generale Vincenzo Barbaro, i sostituti Felice Lima e Santi Cutroneo, ritengono la sentenza in secondo grado “viziata sotto un duplice profilo – scrivono – risultando frutto, per un verso, di una errata lettura della sentenza di primo grado e, per altro verso, della evidente violazione dei principi logici e giuridici che devono caratterizzare il giudizio di appello. Conseguentemente, l’assoluzione dei sindaci, Peppino Buzzanca e Mario Briguglio, “perché il fatto non sussiste”, risulta connotata da violazione di legge e difetto di motivazione”.

Il ricorso in cassazione della procura affianca quello delle parti civili, la parola passa adesso a Roma che dovrà valutare nel merito della procedura seguita dai giudici d’appello.

Ma al netto dei tecnicismi sono toccanti alcune delle espressioni utilizzate da Barbaro e dai sostituti per sottolineare l’importanza della condanna, nonostante i reati siano comunque ormai prescritti: “Tali eventi hanno segnato profondamente la popolazione della provincia di Messina e della Sicilia tutta per due ragioni: per l’altro numero di vittime e per il fatto che, come si è trattato di una tragedia annunciata. Nei termini tecnici della sentenza di primo grado, di un evento non già solo ampiamente prevedibile, ma documentatamente previsto”, così scrivono i procuratori.

E continuano: “Profondamente diverse sono (sia sul piano giuridico che storico e sociale) le conseguenze di una assoluzione ingiusta – che, se non annullata, farebbe venir meno le statuizioni civili della sentenza e sancirebbe erga omnes in maniera irrevocabile l’assenza di responsabilità degli odierni imputati, con conseguenze preclusive anche con riferimento a eventuali responsabilità amministrative e contabili, dando luogo all’ennesima tragedia italiana gravida di colpe ima immune da responsabilità – da quelle di una declaratoria di prescrizione, che sancirà solo l’impiego di un tempo troppo lungo da parte della amministrazione della giustizia nel trattare il caso, senza una affermazione che esoneri da responsabilità chi all’evidenza ne ha”.

E la procura generale ripercorre il primo grado: “Il giudice di primo grado ha assolto tutti gli imputati diversi dai sindaci dei due Comuni coinvolti nella vicenda e ha assolto anche questi ultimi con riferimento ad alcune delle imputazioni (in particolare, quelle di disastro colposo e di lesioni colpose). Ha, infine, ritenuto i sindaci di Messina e Scaletta Zanclea responsabili dei delitti di omicidio colposo plurimo e li ha condannati per questo. Condanne fondate su argomenti lineari e inoppugnabili”.

L’assoluzione in secondo grado è, invece “viziata sotto un duplice profilo – continua la procura – risultando frutto, per un verso, di una errata lettura della sentenza di primo grado e, per altro verso, della evidente violazione dei principi logici e giuridici che devono caratterizzare il giudizio di appello”.

E ancora: “Il giudice di primo grado ha ritenuto insussistenti alcuni dei profili di colpa ipotizzati dal pm a carico dei sindaci e sussistenti altri, per le ragioni esposte nella motivazione della sentenza di primo grado”.

Secondo Barbaro e i sostituti, i giudici di appello “hanno ricostruito in maniera errata le motivazioni del giudice di primo grado (alle quali comunque non erano vincolati, essendo liberi di condannare o assolvere quegli imputati anche per motivi diversi da quelli esposti dal primo giudice) e, pur lasciando intendere di ritenere i due sindaci responsabili delle morti oggetto del contendere, hanno affermato che la loro condanna fosse preclusa da un asserito (e in realtà insussistente) giudicato formatosi su altro diverso capo di imputazione”.

In conclusione, i due sindaci, nonostante i reati siano ormai prescritti, andavano – secondo la procura generale – condannati perché non hanno prontamente messo in allarme la popolazione e così arginato il disastro, soprattutto dopo che lo stesso evento del 2007, sebbene di minore portata, avesse reso chiara la consapevolezza del rischio.

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