Aveva gli occhi azzurri Attilio, e un meraviglioso sorriso aperto del quale faceva dono a tutti e con il quale era capace di entrare in empatia con le persone che incontrava. Gli piacevano da sempre le feste, le processioni, le confraternite, le infinite ritualità attraverso le quali le comunità meridionali, e siciliane in specie, riuscivano ancora, pur in un mondo ormai globalizzato, ad assicurare tempi protetti alle proprie giornate storiche. E quelle feste, quelle ritualità lui aveva deciso di conoscerle tutte, tutte documentarle a perenne memoria.

Qualcuno dei messinesi lo ricorderà cadere dinanzi al cippo della Vara in movimento, e rimanere illeso dopo che l’enorme machina dell’Assunta gli era passata sopra. In quell’occasione la Madonna lo avrà miracolato per premiarlo della sua volontà di capire la festa calandocisi dentro con l’occhio e con il cuore.

Io lo conobbi circa vent’anni fa, allorché venne a propormi di scrivere il testo introduttivo a una mostra (Poenitentia) dedicata alle feste popolari incentrate sull’esibizione del sangue attraverso atti di violenza simbolica sui corpi di persone a ciò votate. Ne risultò un evento di grande pathos che forse la nostra città perennemente distratta non riuscì a cogliere e del quale non conserva forse oggi alcun ricordo.

Rendendomi conto della pregnanza estetica e antropologica delle immagini realizzate da Attilio presi ad “approfittare” della sua innata generosità per fruire di quanto lui, con i fortunati sodali che lo accompagnavano nelle sue interminabili presenze sul campo (Mario D’Alfonso, e soprattutto Peppe Muccio), andava producendo sulle ritualità natalizie, carnascialesche, pasquali, patronali presenti nei luoghi più disparati della Sicilia e della Calabria. Vennero in tal modo condotte in porto mostre di tale intensità emotiva che i visitatori ne ricevevano stimoli non effimeri a riflettere sulle proprie magnifiche sorti e progressive, su quanto la desacralizzazione della società avesse privato le persone da orizzonti in grado di conferire identità, solidarietà sociale, appaesamento con il mondo esterno e interiore.

Stare a parlare con Attilio era un’esperienza gratificante, e non solo per la straordinaria messe di notizie che, una dopo l’altra, lui era in grado di fornire per ore sui più svariati contesti festivi siciliani (credo che ne abbia documentato un migliaio o giù di lì), ma per la carica di simpatia, di inconsapevole e perciò genuina naiveté che traspariva dal suo sguardo, dal commovente entusiasmo che riusciva a trasmettere a chi si poneva ad ascoltarlo.

Un giorno gli proposi di tornare con me, che vi ero stato venticinque anni prima, a Polsi, dove tra fine agosto e inizi settembre si celebra la festa della Madonna della Montagna. Un pellegrinaggio e una festa con caratteristiche ancora arcaiche, già studiata da Annabella Rossi e ancora in grado di esibire ritualità tradizionali salvaguardate dalla spettacolarizzazione imposta dai media in molti altri luoghi. E furono due giorni intensi, dalla partenza in barca fino all’arrivo, percorrendo l’ultimo tratto a piedi, alla conca di Polsi, con le ceroplastiche votive, le processioni, le tarantelle dentro e fuori la chiesa, tutte realtà che ci indussero a non andare a dormire nella casa dei pellegrini ma rimanere tutta la notte all’interno del santuario per registrare cosa succedeva. E a distanza di tempo ancora ci accadeva di confrontarci sulle rispettive esperienze di incubatio, posti a dormire nei pressi dell’altare maggiore, o sugli aspetti surreali dell’esperienza, come quando messomi per un quarto d’ora a riposare dalla veglia notturna all’interno di un confessionile venni svegliato da una vecchina che intendeva farsi confessare…

Apprezzato da fotografi come Fernando Scianna e Giuseppe Leone, da antropologi come Ignazio Emanuele Buttitta e Rosario Perricone, Attilio venne in breve tempo riconosciuto, soprattutto dagli ultimi due che ne hanno ulteriormente valorizzato la produzione, quale detentore di un patrimonio iconografico la cui ampiezza credo non fosse mai stata raggiunta prima di lui. Ma alla quantità dei documenti visivi prodotti si accompagnavano l’assoluta qualità, il rigore, la pulizia delle immagini. Il suo sguardo da lontano fotografico finiva sempre col dissolversi approdando a una tale prossimità con i soggetti da lui ripresi che lo metteva sempre al riparo dalle diffidenze, dalle resistenze degli attori di quegli eventi sempre incontrate da chi si accosti agli universi festivi con l’animo del turista incuriosito e distratto.

Adesso se n’è andato. Quei santi che per tutta una vita Attilio aveva ripreso nelle loro molteplici effigi, è probabile che adesso egli li stia vedendo in carne e ossa, e li stia già deliziando intrattenendoli sulle storie simboliche che gli umani costruiscono su di loro. Ciao Attilio, persona speciale. Sono certo che dopotutto tu non abbia fatto altro che trasferirti nella stanza accanto, dove altre feste sono per te apparecchiate.

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments