È uscito lo scorso gennaio, “58:11”, l’ultimo romanzo del messinese Fabio Mazzeo. Scrittore e giornalista, Mazzeo vive ormai da anni a Roma, ma un po’ del suo cuore è ancora a Messina, dove torna spesso per le vacanze e dove ha in mente di ambientare un libro particolare in futuro. Con i primi due, “La solitudine degli amanti” e “58:11”, resta a Roma e lo fa cucendogli addosso dei gialli ricchi di tensione ma anche umanità.
“58:11”, in particolare, è un romanzo che inizia con un prologo apparentemente disconnesso dalla trama principale e che si arricchisce di tante “storie nella storia” attraverso i vari personaggi incontrati.
I protagonisti sono gli stessi del romanzo d’esordio, l’ispettore Andrea Giannini e il magistrato Liliana Cannata, determinati a trovare un senso ai terribili omicidi che si stanno susseguendo in città.
58:11 è un giallo, ma vi si intrecciano anche storie d’amore. Qual è stato l’elemento che ha dato inizio al processo creativo, da cosa nasce questo romanzo?
“Andavo in una palestra dove c’era una donna transessuale che, non sentendosi a proprio agio in nessuno degli spogliatoi, non si cambiava. Era piuttosto triste. Poi siamo diventati tutti amici e lei ci ha raccontato la sua storia. Un primo spunto è nato da lei. Parlando con queste persone si scopre che la presunta diversità è fatta di tante normalità. Poi all’interno del romanzo ci sono tante storie d’amore perché ogni personaggio è mosso dall’amore.”
Il romanzo inizia con il ritrovamento del cadavere di una donna trans. La protagonista teme questa indagine e fa alcuni commenti sulle reazioni della gente a questa morte. Il romanzo vuole quindi essere anche polemico nei confronti dell’opinione pubblica? Come si è preparato per poter trattare al meglio questa storia?
“Come ogni persona, ho dovuto lottare anche io con i miei pregiudizi. Per prepararmi bene ho semplicemente parlato molto con queste persone. C’è un mondo nascosto romano che sin dai tempi del caso Marrazzo mi aveva molto incuriosito. Ho cercato di capire, mi sono documentato. Credo di aver fatto un lavoro di tipo giornalistico, il mio mestiere mi ha aiutato. Sono andato con un taccuino, senza pregiudizi, a scrivere quello che vedevo e con la disponibiltà ad ascoltare. È stato un lavoro che mi ha portato a conoscere alcune storie. Ovviamente quella contenuta nel libro è tutta inventata, ma è inventata sulle basi solide della realtà.”
Ci sono anche delle descrizioni abbastanza crude. Come si affronta invece questo aspetto?
“Tranne in un caso, sono tutti omicidi avvenuti nella realtà. Non sono stati commessi da un solo serial killer, sono stati in luoghi e tempi diversi, ma sono tutti omicidi veri. Quel tipo di violenza esiste, non l’ho inventata. È una violenza che ha fatto parte di fatti di cronaca, io l’ho messa all’interno del libro con la tecnica narrativa del thriller.”
Il titolo rimanda ad un versetto dei Salmi che parla di vendetta. Come mai questa scelta? In che modo la vendetta diventa filo conduttore del romanzo?
“Come in tanti hanno detto, la Bibbia è oggettivamente uno dei libri più violenti mai scritti. Nella Bibbia ci sono anche genitori che sacrificano i figli, che è la cosa più riprovevole. Quando succedono cose del genere, come recentemente nel caso del quel femminicidio in cui è stata uccisa una donna incinta (Giulia Tramontano, la giovane crudelmente uccisa dal compagno lo scorso maggio, quando era al settimo mese di gravidanza ndr), la cosa suscita particolare scalpore e disgusto. Questa è una violenza che c’è anche nelle sacre scritture.
Quel versetto in particolare fa riferimento alla vendetta. È un tema che mi ha sempre affascinato, soprattutto quando è messa in mano a chi la esercita perché ha subito un evidente torto.
Quindi era un modo per parlare anche di un sistema giudiziario fallace. C’è un sistema che spesso non solo non tiene conto della giustizia ma manipola la verità. Unendo queste cose, l’utilizzo del versetto biblico era un voler dire che è una storia in cui non ci sono innocenti.
Spesso chi ti conosce pensa di trovare nel libro qualcosa di te. Io non credo che lo scrittore faccia questo. Per me scrivere è la costruzione di una strada di cui ho bisogno che non esiste o che non trovo, per cui ho bisogno di scavare, di battere la strada, di appianarla e costruirne una nuova. La vendetta in questo c’entra perché ho visto uomini abbattuti dal sistema giudiziario che gli aveva fatto grandi torti e a un certo punto ho intuito che fossero disponibili a tutto. Se non ci creassimo delle condizioni nostre per contenere la rabbia, penso veramente che la storia che ho raccontato potrebbe riguardare ognuno di noi. È una cosa molto interessante da indagare.”
Il libro, quindi, vuole essere anche una denuncia nei confronti di questo sistema.
“Assolutamente sì. Anche se molte cose non sono state pensate. Scrivevo e poi rileggendomi pensavo che in fondo quelle cose si collegavano a cose della vita. Come direbbe De Andrè non esistono poteri buoni.
Io scrivo per il piacere di scrivere e vorrei che il lettore avesse il piacere della storia. Se gli lascio anche qualcosa dal punto di vista politico e sociale, ne sono ancora più contento. Per cui spero prima di tutto che piaccia la storia, ma sì, dentro questa storia c’è una denuncia contro il sistema giudiziario e contro il sistema politico, due facce non troppo diverse della fallibilità dell’uomo.”
In 58:11 tornano personaggi già conosciuti nel suo primo romanzo, (“La solitudine degli amanti”, 2019). C’è quindi l’intenzione di creare una serie? Ha già qualche idea per il prossimo?
“C’è un terzo libro che ho già scritto, poi però basta. Vorrei evitare quel processo di sovraidentificazione tra scrittore e personaggio che si crea in certi casi. Non voglio essere né Giannini, né la Cannata. Vorrei essere uno che racconta storie e non le posso raccontare solo in virtù di alcuni personaggi.
Una cosa di cui sono fiero di questo libro è che contiene tante storie.
Dopo il terzo libro, però, ho bisogno di evitare questi personaggi per poter raccontare altre storie.
Roma ha un ruolo di rilievo nei suoi romanzi. C’è la possibilità di un prossimo romanzo ambientato qui a Messina?
“Il libro che ho in questo momento in testa e che mi sta a cuore è un romanzo ambientato nel quartiere dove sono nato. È un libro che sarà ambientato tra gli anni ’70 e gli anni ’80 a Messina.”
Anche questo sarà un giallo?
“In un certo senso. Secondo me tutto può essere un giallo. Anche quando c’è una storia d’amore, il sapere se quei due alla fine reggeranno insieme oppure no è un po’ un giallo, se per giallo intendiamo l’attesa per qualcosa che ti tiene sulle spine. In questo senso ha un contenuto di giallo, ma non è giallo nel senso di poliziesco. C’è un’indagine umana su degli accadimenti. Secondo me la tensione è un ingrediente essenziale in un libro.”
A gennaio c’è stato il “Brindisi con l’autore” alla libreria Bonanzinga, ma recentemente ha parlato di un giro di presentazioni che sta per cominciare. Ci saranno altre presentazioni a Messina?
“Quando mi ha invitato Daniela Bonanzinga l’ho fatto con molto piacere. Mi piacerebbe tornare, anche perché poi ho scoperto che qualcuno ha pensato che l’evento di gennaio fosse riservato, quando in realtà era aperto a tutti, ma al momento non è in programma. La prossima presentazione in Sicilia sarà il 5 aprile a Catania. Poi ci saranno varie tappe: Perugia, Terni, Rieti… A Roma ci sarà un evento particolare con dei musicisti, perché nel libro c’è anche tanta musica.”