Dopo la follia di un dibattito che avrebbe potuto non avere luogo, tanto è stato infarcito di interpretazioni forzate (ai limiti dell’inesattezza) ed eccessivamente faziose (non rappresentando un’umiliazione, come ha ben precisato lo storico dell’arte Luigi Giacobbe), l’epilogo della vicenda che ha visto protagonista la riproduzione di Messina restituita alla Spagna di Luca Giordano rischia di non essere legato solo a una follia iconoclasta (bruciarla in pubblica piazza), ma anche alla “temibilissima” idea di bandire un concorso di idee (l’ennesimo) per sostituire il quadro e il suo gemello (come dimensioni), ovvero l’Inaugurazione del Parlamento siciliano a Palermo nel 1671 di Filippo Giannetto, che per venticinque anni circa hanno “ornato” l’aula consiliare del Comune di Messina.

Orbene, leggendo i fiumi di commenti alla proposta (“Si potrebbe realizzare un dipinto che rappresentati la Madonnina, simbolo della nostra città”, tanto per fare un esempio), ci si rende conto della pericolosità della stessa, derivante anche da una certa faciloneria che non tiene conto, innanzi tutto, del luogo di destinazione e della sua architettura, già occupato impropriamente dalle due riproduzioni le quali, almeno meritoriamente (negli intenti), si era deciso di “salvare” dopo la chiusura della mostra “Messina, il ritorno della Memoria”. Perché l’aula consiliare progettata da Antonio Zanca ha una sua identità spaziale che non dovrebbe essere “intaccata” da opere pittoriche o da scelte estemporanee (vedi le tende blu elettrico di qualche anno fa) che possono solo svilirne ulteriormente la linearità e il rigore. Tra l’altro, a livello pittorico, episodi riguardanti la storia di Messina sono già contenuti nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Zanca.

Insomma, perché un concorso di idee? E, soprattutto, quale idea di base dovrebbe avere il committente del concorso stesso? Se proprio il Comune dovesse avere in animo di bandire gare, provi, in occasione del prossimo appalto per un’opera pubblica, ad applicare la cosiddetta “Legge del due per cento”, che, nel capitolato, prevede proprio tale percentuale sul costo dei lavori per realizzare un’opera (l’ultima volta fu per lo Stadio San Filippo, oggi “Franco Scoglio”).

Per il resto, se proprio si vuol portare qualcosa nell’aula consiliare, darle ancor più significato, la si trasformi in una vera e propria Sala delle Lapidi, un po’ come fu fatto al Municipio di Palermo nel 1875 su iniziativa del Gesuita e storico Gioacchino Di Marzo. In fondo, già alcune sono state individuate al Museo regionale dall’associazione “Centro storico”, che avrebbe proposto, nel novembre scorso, di ricollocarle in città. Si tratta della targa in memoria del soggiorno messinese di Goethe, della targa dedicata a Giacomo Minutoli (un tempo all’interno della sede preterremoto del Municipio, da lui progettata), della targa in ricordo della visita in città di Umberto I di Savoia, della regina Margherita e del Principe di Napoli, delle targhe commemorative di Felice Bisazza e Riccardo Mitchell (entrambi poeti), delle targhe e dei materiali lapidei relativi al Pozzoleone, delle due targhe sulla facciata del Duomo (non rimesse al loro posto dopo il sisma), della lapide in ricordo di Rosa Donato, detta la “la Cannoniera”, in prima linea contro i Borboni, della lapide che ricorda la resa dei Borboni, della lapide celebrativa del venticinquesimo anno dalla “Breccia” di Porta Pia, della lapide riguardante il soggiorno in città di Vittorio Emanuele II, della lapide che coronava il Portale della Zecca, della lapide dettata da Gioacchino Chinigò per l’inaugurazione di piazza XX settembre (1895) e della targa con l’effige del Vicerè Eustachio Laviefuille. Questi, gli elementi proposti, sebbene per un’altra operazione, dall’Associazione, ma, sicuramente, la spianata del Museo offre tantissime testimonianze legate alla vita cittadina che potrebbero trovare una nuova casa nell’Aula consiliare. Magari, anche solo per ricordare a chi la vive un passato che, da anni, viene puntualmente svilito.

 

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