MESSINA. Neanche per l’accoglienza trionfale riservata a Marina La Rosa ci fu tanto trambusto. Anzi, la Messina che si scandalizza facilmente e sta attenta all’etichetta guardò con estrema simpatia e voyeurismo l’arrivo a Palazzo dei Leoni dell’allora ventitreenne ragazza. Correva l’anno 2000, si erano appena spente le luci sulla prima l’edizione del “Grande Fratello” e Giuseppe Buzzanca, ex presidente della Provincia, la ricevette più o meno con le attenzioni che si riservano a un Capo di Stato.
Dodici anni prima, a tenere banco, era stata la visita di Giovanni Paolo II per la canonizzazione di Eustochia Calafato (che, per abitudine, qualcuno chiama ancora Beata). Erano altri tempi, la Prima Repubblica stava iniziando il suo declino e i messinesi si esaltarono non solo per il grande momento di fede, ma anche per il prato preconfezionato che fu posato su tutte le aiuole (non si vedeva un filo d’erba da decenni), per la pedonalizzazione temporanea di alcune strade, per le fontane riattivate e, soprattutto, per la “defunta” rotatoria di piazza Cairoli, meta di passeggiate compulsive e piena di fiori, altro genere che si pensava estinto, in città. Anche in quel caso, pochi, pochissimi entrarono nel merito delle spese sostenute dall’allora sindaco Mario Bonsignore.
Un anno e qualche mese dopo, era la fine di novembre, la città che aveva votato i Savoia al referendum istituzionale, la Messina democristiana purosangue, accolse come una star Raisa Gorbačëva, giunta per ritirare il Premio Colapesce. Nel 1989, la prima donna della fu Urss non deluse nessuno grazie a infrazioni del protocollo ufficiale (l’ingresso al Duomo non previsto) e a sorridenti saluti alle due ali di folla che gridavano “Raissa! Raissa!”. Per accoglierla, la città fu tirata a lucido, mentre la loggia del Comune che affaccia sulla Fontana Senatoria, all’epoca “sgarrupata”, fu coperta con ventimila garofani riproducenti lo stemma di Messina, la bandiera italiana e la falce e martello sovietiche su campo rosso.
E oggi? Oggi sembra che a Messina sia arrivato “u zu nuddu” (il Signor Nessuno). Le polemiche, quasi tutte pretestuose, hanno cancellato d’un botto la “santità” di Tenzin Gyatso (santità pure contestata perché, a quanto pare, esclusiva della religione cattolica, dove abbonda e viene distribuita a piene mani) nonché il suo essere la manifestazione terrena di del bodhisattva della compassione Avalokiteśvara (appartenente a un credo millenario), un capo di Stato in esilio, un Premio Nobel per la Pace e uno degli ultimi pezzi di storia del Novecento ancora viventi. Ma di chi è la colpa?
La “colpa”, tanto per cambiare, è di Renato Accorinti, ma non per la fascia tricolore e la quantità di pignolata da “pizzarella” donate al Dalai Lama (rivelatesi mosse mediaticamente vincenti al di fuori del territorio di Messina) e neanche per i piedi nudi e la maglietta “Free-Tibet”: il vero nodo è la natura inconsapevolmente (si spera) divisiva del primo cittadino che, in questa circostanza, ha dato il meglio di sé. Nel 1996, Leoluca Orlando assurse agli onori delle cronache internazionali assegnando a Tenzin Gyatso la cittadinanza onoraria in occasione dell’inaugurazione di una mostra fotografica di Richard Gere sul Tibet. Un colpo mediatico eccezionale che pose sotto i riflettori il capoluogo siciliano. Le polemiche, all’epoca, furono pari a zero e tutti si ritennero soddisfatti. Il fondatore della defunta Rete, però, si approcciò all’evento, voluto fortemente, come primo cittadino e senza alcun afflato religioso. Al contrario, e ciò ha determinato un ulteriore difetto di comunicazione, l’Accorinti buddhista ha fagocitato il Renato sindaco, aggiungendo un’ulteriore distanza alla distanza che troppo spesso, quotidianamente, viene alimentata dalla pretestuosità delle critiche. A raccontarlo, più di tutto, sono le immagini di un primo cittadino gioioso come una vecchietta che rimira le stimmate di San Pio a San Giovanni Rotondo e tutto ciò, ovviamente per chi scrive, ha reso la nobile visita del Dalai Lama l’ennesima occasione per polemiche infinite.
È vero, il mondo non è soltanto Facebook (per fortuna) e buona parte dei cittadini (coloro che non vivono di social), probabilmente, si è fatta un’idea autonoma dell’amministrazione comunale. Però, e lo dico col cuore, Renato Accorinti dovrebbe fare più attenzione alla città che si fa trascinare dalle accuse più disparate nei suoi confronti: ad andare al voto, a giugno, non sarà il pubblico televisivo nazionale, non quello che vede Messina evoluta e diversa, ma un luogo popolato da gente spesso lamentosa, disillusa e, tendenzialmente, gretta. Gente di fronte alla quale non puoi segnare un gol usando la mano. Perché, di Maradona, ce n’è soltanto uno…
Bellissimo pezzo.
Quando leggo certi commenti diffamatori, qualunquisti e provocatori, che siano dettati da pura ignoranza o da mero tornaconto politico, mi sento molto dispiaciuto perché per colpa loro in futuro non potrò mai tornare a vivere a Messina. Ma allo stesso tempo sento la rabbia che mi sale e penso che un futuro senza Accorinti sia il giusto destino per dei terroni schifosi come questa gentaglia.