Negli ultimi anni il Risorgimento e l’unificazione italiana, processi complessi e dalle molte componenti, sono stati presentati in chiave semplificatrice come fenomeni top-down, fino a chiamare in causa il concetto di “conquista”. Per questa ragione non sono state ricordate a un pubblico più vasto di quello specialistico quelle componenti democratiche, repubblicane o socialiste, rivoluzionarie “dal basso” che in quei processi ebbero una parte importantissima, e specialmente da quella Sicilia “all’opposizione”, considerata sediziosa e rivoluzionaria prima dai Borbone e poi dalla politica postunitaria.

Alcuni protagonisti di questa generazione rimasero all’opposizione, come il milanese Giuseppe Ferrari, altri si ricondussero poi al moderatismo o all’autoritarismo di governo del nuovo stato (come nel caso di Francesco Crispi), altri trasformarono il loro impegno rivoluzionario in una convinta lealtà alle istituzioni unitarie.

Il caso di un messinese, Giovanni Interdonato, è un buon modo per riportare in primo piano l’evoluzione e la trasformazione dei percorsi politici di questa generazione di origine democratica dentro lo stato unitario.  Giovane docente di diritto all’Università ed esperto di economia, autore di una relazione sulla bonifica delle terre paludose del Faro, nel ‘48 entrava nel parlamento rivoluzionario indipendentista come deputato del distretto di Messina, proponendo da posizioni radicali l’abolizione della tassa sul macinato e un prestito forzoso ai più facoltosi. Con la repressione e il ritorno dei Borbone cominciava come gli altri emigrati politici a spostarsi in clandestinità a Malta, a Parigi, a Genova, a Torino. Rientrava nel ’60 in una Sicilia tutta antiborbonica e al tempo stesso terreno di scontro di fazioni e partiti. E vi rientrava come membro dei comitati di insurrezione armata e poi del governo garibaldino, accompagnato dalla definizione di estremista affibbiatagli dall’ultramoderato La Farina, messinese come lui, e di “repubblicano e protettore dei cattivi” dai carabinieri.

Ma le sue posizioni federaliste e para-socialiste si convertivano alla causa monarchica e, dopo un trasferimento a Milano come procuratore generale in Corte d’Appello e poi in Cassazione, diventava procuratore generale a Messina e, nel ’65, a Palermo, con giurisdizione anche su Trapani e Girgenti. Il contesto era scivoloso, e andava dalle pericolose campagne dell’intera Sicilia occidentale alle misteriose emergenze criminal-politiche palermitane, quale la famosa congiura borbonico-autonomistica-mazziniana dei Pugnalatori del 1862, resa famosa dal libro di Sciascia. Lì il prefetto Gualterio avrebbe usato per la prima volta la parola Maffia, una “associazione che ha perfino statuti ed una tradizionale abitudine di dipendere da potenti, dai feudatari prima, senza i quali ora cambiò quasi la sua posizione convertendosi da protetta in protettrice basandosi sul fondamento della paura, e più tardi dei partiti politici, tutti egualmente di bisogno di ricorrere all’uopo a questo braccio di facinorosi”. Organizzato insieme al generale Medici un enorme rastrellamento di “maffiosi” (2500 tra renitenti alla leva, ex carcerati, disertori, segnalati dai carabinieri, delinquenti comuni), il prefetto aveva il problema di articolare un’accusa con cui fermarli e condannarli.

Schierato sul medesimo fronte favorevole ai poteri straordinari in materia di sicurezza pubblica Interdonato, che nel frattempo si era guadagnato l’appellativo di “iena togata” per l’estremo rigore dei giudizi penali, escogitava di ricorrere al reato di “associazione di banda”. Essendo un “reato continuo”, egli argomentava, legittimava l’arresto senza bisogno di uno specifico reato ma solo per l’essersi riuniti e organizzati. A quanto pare lo slittamento di radici politiche democratiche in teorizzazioni e pratiche giustizialiste e securitarie non è una novità dei nostri tempi. La difficoltà di provare l’associazione portava però alla liberazione di molti arrestati, mentre l’ordine pubblico a Palermo si faceva sempre più precario fino alla settimana di rivolta del 1866. Su questa ultima insurrezione Interdonato avrebbe lavorato come presidente di una commissione d’inchiesta mentre veniva nominato senatore del Regno, morendo però di colera nel 1866 prima di poter concludere l’indagine.

La figura di Giovanni Interdonato ha ispirato il personaggio omonimo de Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo: l’alter ego del barone Mandralisca, che indirizza la sua presa di coscienza politica. In lui il protagonista riconosce il sorriso beffardo e saggio del soggetto anonimo del quadro di Antonello.”

 

Ho scritto questo blog basandomi su:

Nino Recupero, La Sicilia all’opposizione (1848-1874), in Storia delle regioni italiane: La Sicilia, Einaudi, Torino 1987

Nino Blando, Come uscire dalla rivoluzione (in stampa)

Francesca Maria Lo Faro, Giovanni Interdonato, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Milano 2004

 

Un film da vedere: Noi credevamo, di Mario Martone (2010), con Luigi Lo Cascio, Francesca Inaudi, Michele Riondino, Guido Caprino, Toni Servillo, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto

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Antonio
6 Marzo 2020 16:04

Antonio Mangiafico nuova edizione STORIA DELLA SICILIA A FUMETTI 1977.2019 Libreria del Teatro Massimo di Messina.

ATTILIO INTERDONATO
ATTILIO INTERDONATO
23 Marzo 2020 15:21

BRAVO,complimenti,almeno ogni tanto c’è qualcuno che rende onore e visibilità a UOMINI che nel BENE o nel MALE hanno contribuito in PRIMA PERSONA a creare LA NOSTRA ITALIA…..GRAZIE,ATTILIO INTERDONATO