Le città sono fatte di “luoghi”, di luoghi dove abitano le emozioni, dove sono conservati i ricordi collettivi e individuali. Piazze, palazzi, fontane, giardini, monumenti, ecc.. Luoghi simbolo dove fiorisce da sempre il rapporto identitario tra l’uomo e il contesto urbano in cui vive.

Ma da tempo nelle città sorgono altri tipi di “Luoghi” che stanno sostituendo i luoghi urbani. Sono nuovi ambienti dove il rapporto tra il luogo e chi lo abita è diventato perverso, alienante. Un rapporto di terribile estraneità e di assenza di riconoscimento. Si tratta di luoghi in cui il cittadino non si riconosce, non s’identifica, non ci appende più i propri ricordi, non vive il presente e non immagina il futuro. Del resto chi può riconoscersi in un Eurospin, in un Ikea, in un Centro Commerciale Auchan, in un Ipermercato?

 

 

Queste strutture ormai hanno colonizzato molti luoghi identitari delle città. Questi “non luoghi”, non più episodici o occasionali, si sono espansi a dismisura e moltiplicati in modo epidemico. Sono presenze inquietanti che hanno invaso tutte le città e tutto il territorio nazionale. Hanno contaminato paesaggi, deformato la fisionomia del territorio, compromesso integrità ambientali ed equilibri ecologici, esattamente come fecero gli insediamenti industriali del secondo dopo guerra, con l’aggravante che questi sono di gran numero superiore, di localizzazione capillare e non portano lavoro, bensì schiavitù. Non c’è città o zona di città che può resistere alla loro invasione. Sono come un male non curato che si è diffuso in tutto l’organismo, un cancro trasformatosi in metastasi. Arrivano dall’alto, imposti da poteri sopra ordinati a quelli locali e spesso anche a quelli nazionali. Sono invasioni in “deroga” (in barba) agli strumenti urbanistici. Quel tipo di deroga alle leggi che si riconosce sempre più al capitale, alle banche, e sempre meno ai bisogni reali della povera gente.

“Questa è la postmodernità… bellezza!!”. Queste invasioni sono l’espressione di come la globalizzazione condiziona il localismo.

Gli ipermercati, sono tutti uguali da Torino a Mazzara del Vallo, perché il modo di vivere dell’occidente capitalista ormai è global. La globalizzazione oggi si è fatta globlocal, i cui “valori” sono globali ma al tempo stesso locali. Così i nostri luoghi non sono più nostri, non sono più tipici, singolari, sono di tutto il mondo, quindi di nessuno. Una sorta di provincialismo universalizzato. Così non si è più né locali né globali… semplicemente non si è.

 

 

Siamo stati travolti dalla post modernità. Tutto omologato, linguaggi, estetiche, gusti, prodotti, ecc.. . Questa è la deriva amorfa della globalizzazione, del mercato globale, del neoliberismo dilagante e spersonalizzante.

I centri commerciali hanno ormai sostituito le piazze e hanno spodestato le città delle loro funzioni urbane, concentrando al loro interno, nei loro inespressivi involucri, nelle loro architetture neutre (facciate a specchio e/o muri chiusi all’esterno come dei fortilizi) funzioni come: cinema, teatri, piazze, bar, ritrovi, parchi giochi, ristorante, ecc.. Tutto dentro spazi chiusi senza identità e senza storia, impermeabili al contesto. Contenitori senza alcuna relazione con il territorio e gli ambiti urbani che li ospitano, e soprattutto senza nessun legame culturale. Sono spazi fisici dove chi li vive non attiva affatto processi di identificazione. Sono luoghi in cui è impossibile costruire la propria identità sociale. Sono luoghi dove chi li frequenta rafforza solo il suo anonimato, trasformandosi da cittadino a cliente, da individuo ad anonimo consumatore.

Così stiamo assistendo alla lenta agonia dei centri storici, al loro progressivo ed inesorabile svuotamento di funzioni. Gli spazi pubblici contemporanei nelle città s’identificano sempre più nell’ipermercato di turno, che via via diventa sempre più grande, sempre più fantasmagorico, fagocitando funzioni urbane con l’evidente ambizione di sostituire la città stessa, i suoi spazi, i suoi usi e i suoi costumi.

I centri commerciali e gli ipermercati sono divenuti dei fortissimi attrattori antropici, sostituendo quei centri delle città che da sempre erano sedi delle funzioni più preminenti, quelli che davano il senso alla città e al vivere in essa: funzioni civili, spazi di relazioni, funzioni commerciali e direzionali, ecc.. Queste mega strutture alterano in modo significativo la funzionalità territoriale a vasta scala. Cronici ormai i blocchi autostradali come da esodo vacanziero. Ormai siamo abituati ai quotidiani avvertimenti dei bollettini del CIS viaggiare informati: “code ai caselli in entrata e in uscita per flussi intensi da e per i centri commerciali”. Masse sempre più consistenti di cittadini vengono attratti, come da un pifferaio magico, in luoghi che non esprimono alcuna identità specifica, che non attivano processi di socializzazione. Luoghi frequentatissimi che non sono “luoghi comuni”…. ma “luoghi globali”, luoghi per tutti e per nessuno: “Luoghi dell’alienazione”. Strutture dall’estetica omologata, costruita per essere replicata all’infinito, sempre uguale a se stessa anche nei più improbabili contesti geografici, ubiqua, identica anche agli antipodi, uguale a Catania come a Los Angeles. Strutture capaci di compiere impossibili analogie tra Ragusa Ibla e Manhattan.

Dal Centro Storico al Centro Commerciale ….. è questo il passaggio alla post modernità.

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