Un virus si aggira per l’Italia. E come spesso succede, i cittadini sono colti impreparati, sprovvisti come sono degli anticorpi necessari a fronteggiarlo. Tranquilli, non sto parlando del Coronavirus, a quello ci penseranno egregiamente i nostri infettivologi e le nostre strutture sanitarie; degli uni e delle altre non abbiamo certo di che vergognarci.

Ciò che invece dovrebbe destare grande, enorme paura – oltre che scandalo e vergogna – è la deriva etica cui la cattiva politica ha condotto il Paese. Una deriva delle idee, dei valori, dei comportamenti, del linguaggio che ogni giorno ci fa sobbalzare inorriditi allorquando la cogliamo, nei social e nelle chat, raggiungere a guisa di metastasi fasce sempre più ampie di italiani e corrodere un tessuto sociale che fino a qualche decennio fa non era poi così tanto marcio. 

Un virus pernicioso dunque, i cui untori stanno tutti sotto i nostri occhi, ancora increduli per la barbarie che avanza. Avete presente quando vi capita di commettere un’enorme cazzata (accade a tutti, prima o poi) e improvvisamente ve ne accorgete ma ormai è troppo tardi per tornare indietro, fareste la figura dei pirla, e allora scegliete tragicamente di andare fino in fondo, così almeno riuscite a salvare un tocco di coerenza? Bene, è quello che secondo me è successo, sta succedendo a milioni di italiani. Si sono fatti convincere da un imbonitore che la società ideale dovesse essere quella basata sull’odio, la paura e l’egoismo, e anche se poi a conti fatti la cosa non si è rivelata del tutto vincente (perché odio, paura ed egoismo non sono unilaterali, hanno la capacità di ritorcersi contro chi li esprime) ormai non sanno più che pesci prendere, se non quello di tenersi aggrappati al capitone che li ha catturati e instupiditi con le sue paranoie.

È la storia italiana di questi anni. Le recenti consultazioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria ci hanno regalato in tal senso momenti memorabili. Tu penseresti di averle viste tutte, ma la realtà ti riserva sempre nuove sorprese. Presso i romantici il sentimento del sublime era quel moto dell’animo che prendeva l’uomo allorquando questi si poneva a contemplare la natura. Il sublime era anche percepito come il sentimento di stupore rispetto a un continuo superamento degli orizzonti – esperienza che appunto la natura nei suoi aspetti “selvaggi” rendeva possibile – e al contempo la consapevolezza dell’umana inadeguatezza a controllare in qualche modo tale vastità di prospettive e profondità di abissi.

I nostri capipopolo ci hanno ormai resi assuefatti a tale esperienza, per vivere la quale i nostri antenati ottocenteschi dovevano raggiungere plaghe solitarie e vette innevate. Quando infatti ci sembra di avere ormai assistito a tutto quello che era umanamente possibile immaginare e sperimentare, costoro ci dischiudono orizzonti sempre più ampi e vertiginosi.

Iniziamo con quel giuggiolone di Salvini, che quando non recita giaculatorie cattiviste imbracciando un rosario si abbandona a tutte le stranezze che il suo cervello gli detta. Eccolo dunque – circondato naturalmente dal solito branco di ascari – citofonare a un privato cittadino importunandolo con domande insultanti e idiote. Peggio di un venditore porta a porta. Di un piazzista. Di un testimone di Geova. 

Cambiamo aria e area geografica e spostiamoci in Calabria. Qui troviamo un episodio che deve aver fatto inghiottire un boccone amaro al mio amico Luigi Lombardi Satriani, che è di San Costantino Briatico. Un sindaco del Vibonese infatti si china, si prostra in adorazione e bacia la mano a Silvio Berlusconi, a rigor di sentenze un pregiudicato ancora in grado di far eleggere una presidentessa di Regione col merito, è stato detto dal palco, di non averla mai data al suo satrapo. Una dimostrazione di fedeltà feroce e blasfema che ci fa sprofondare in un triste medioevo della legalità.

Sono solo due esempi emblematici della prassi quotidiana di due figuri, Salvini e Berlusconi, abituati a spostare ogni giorno più in avanti l’asticella della decenza, a tendere sempre più l’elastico della legalità e del pudore. Così Berlusconi continua ad infiorare le sue ormai rare comparsate politiche riflettendo pensosamente su temi quali la lunghezza del pene di un asino. Lui, che si atteggia a padre della patria, a innocuo e spiritoso vecchietto saggio della politica in grado di porsi quale ago della bilancia di una compagine di destra un po’ birichina.

Da uno che si proclamava miglior politico italiano insieme a De Gasperi e accarezzava l’idea di diventare Presidente della Repubblica, tutto questo pattume, queste battute da postribolo non te le aspetteresti. Ecco perché all’inizio della mia riflessione parlavo di sublime, perché in questi anni si sono varcati alcuni confini dell’etica che fanno temere in una condizione di non ritorno alla normalità di un tempo.

Analogamente, la sue creatura politica erede, che qualche mese fa invocava per sé pieni poteri alla stessa stregua di un colonnello golpista, trascorre buona parte delle sue giornate ammorbando i social con affermazioni da neurodeliri, entusiasticamente accolte da una pletora di aficionados che ricordano le scalmanate casalinghe pronte a far barricate per l’ex cavaliere di Arcore.

Non è chi non veda ormai che il nostro sia un tempo in cui si è imposto l’uso di un linguaggio malato. Purtroppo un linguaggio malato, reiterato nel tempo, diventa contagioso (la madre delle spugne è sempre incinta) e sortisce pian piano l’assuefazione alla malattia, e in breve una società malata, per di più inconsapevole di esserlo. Proprio come quella che sta all’origine della goliardica scampanellata di Salvini e del baciamano fatto a Berlusconi.

Una recentissima intervista fatta dal bravo Diego Bianchi al caro, novantaseienne, lucidissimo Emanuele Macaluso può essere utile a comprendere la confusione delle lingue nella quale oggi ci troviamo avviluppati. Macaluso, tra le cose tutte apprezzabili che dice, a un certo punto, per spiegare i motivi che hanno consentito a una destra “così becera e rozza” di contendere al Pd il governo della Regione Emilia Romagna, dice anche questo: “Non si è fatta mai una battaglia politico-culturale per contestare le radici politiche e culturali di questa destra… In questi anni non c’è stata una forza politica che abbia fatto un’attività politica e culturale, per aggiornare e adeguare quali sono oggi i valori democratici e di sinistra… Non basta la buona amministrazione, se non c’è una battaglia politico-culturale che formi le coscienze politiche delle nuove generazioni…”. Chiaro? Più chiaro di così!

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