MESSINA. Il “ramoscello d’ulivo” che il sindaco Cateno De Luca ha porto metaforicamente al consiglio comunale, al termine del suo discorso di inizio anno, è arrivato dopo quaranta minuti di clava e schiaffoni riservati senza appello (e tra gli applausi del centinaio di accaniti sostenitori accorsi per il discorso) all’aula, in ciascuna delle sue componenti.

Un gioco, quello del bastone e e della carota, che Cateno De Luca ha attuato sin dall’inizio col consiglio comunale, e che a parte qualche incidente di percorso, gli ha sempre detto più che bene, dato che gli atti amministrativi importanti è sempre riuscito ad farli passare. Ieri, però, c’è stato di più. C’è stata la volontà di “imporre” la sua linea anche sulle dinamiche proprie dell’aula. Pena, un’altra volta (anche questa, tattica collaudatissima e vincente, fino ad oggi), le dimissioni.

Come l’incursione a piedi uniti nelle modalità d voto dell’aula. Alla folla ululante, De Luca ha dato in pasto una (parafrasando) “stranezza che succede solo a Messina”: e cioè che durante il voto, le astensioni sono equiparate al voto negativo. In realtà, la ragione è quella, piuttosto logica, che perché una delibera passi i favorevoli devono essere la maggioranza. E chi è astenuto, per definizione, favorevole non lo è. L’articolo 55 dello statuto del comune di Messina, poi, recita testualmente: “Le deliberazioni sono valide quando ottengono il voto favorevole della maggioranza dei presenti, salve speciali maggioranze previste dalla legge o dallo statuto”.

E’ il metodo di votazione in vigore al Senato (ma non alla Camera e all’Ars, per esempio), che utilizzano, come Messina, anche Palermo, Catania, Randazzo, Mascali, Zafferana. Diverso è a Reggio Calabria, invece, dove si utilizza il metodo “camera”, cioè non contando gli astenuti. C’è da dire che l’ordinamento giurisprudenziale da anni va verso la direzione che il sindaco vorrebbe anche per Messina. Sull’argomento, per esempio, si è espresso il ministero dell’Interno in seguito a pronunce del consiglio di Stato.

La discussione, poi, è degenerata nei consiglieri comunali che astenendosi (anzi, votando l’astensione, perché il loro è comunque un voto conteggiato) “non si prendono la responsabilità di motivare il no”. Anche questo non è esattamente così: durante le dichiarazioni di voto, facoltative, ma delle quali si avvalgono quasi tutti i consiglieri, specie su atti di un certo peso e responsabilità, le motivazioni sono enunciate a verbale.

Altro tema sul quale De Luca ha spinto forte è quello delle presenze in aula. Il sindaco se l’è presa con chi, ad un certo punto, esce dall’aula e non torna più, a lavori ancora in corso, e ha spiegato a chiare lettere che introdurrà una modifica al regolamento d’aula (che è di competenza esclusiva del consiglio, che sarà chiamato ad approvare o bocciare la modifica) per negare  a chi si assenta a seduta aperta non solo il gettone di presenza, ma anche l’indennità lavorativa, cioè la “giustificazione” che il consigliere porta al datore di lavoro per l’assenza dalle sue mansioni (che serviranno poi per il calcolo degli “oneri riflessi”, in pratica la somma che Palazzo Zanca corrisponde ai datori di lavoro per compensare l’assenza dei consiglieri dal posto di lavoro durante l’attività politica).

Una modifica, quella auspicata da De Luca, che già esiste nel regolamento del consiglio comunale. Il comma 22 dell’articolo 47 recita testualmente: “I consiglieri comunali che non siano stati effettivamente presenti per almeno il 50% dei lavori di Consiglio comunale o delle commissioni consiliari, ovvero per un lasso di tempo non inferiore ai 40 minuti, non hanno diritto a percepire il gettone di presenza. L’assenza anche temporanea dai lavori del Consiglio comunale deve regolarmente risultare dal verbale di ogni singola seduta”.

Anche considerare come “assenza sul lavoro” il mancato ottenimento, per i motivi descritti precedentemente, del gettone di presenza è una circostanza che già esiste: il comma 24 recita “Qualora, per i motivi previsti in questo Regolamento, vengano meno i presupposti per l’ottenimento del gettone di presenza ai lavori di Consiglio o commissione consiliare, tale circostanza è considerata quale assenza ai lavori consiliari e di commissione, a tutti gli effetti di legge, ivi includendo il rimborso al datore di lavoro, fatta salva la giustificazione per l’assenza da lavoro”.

Addirittura, il regolamento di consiglio comunale prescrive di legare il gettone alla produttività, cioè a una votazione, in consiglio o in commissione. Il comma 23 dice che “le sedute di Consiglio convocate per l’approvazione di un atto deliberativo proposto dalla Giunta devono concludersi con una votazione espressa, salvo le ipotesi degli aggiornamenti dei lavori”.

Nonostante il regolamento d’aula le preveda espressamente (dopo le modifiche proposte da LiberaMe nel settembre 2018 e votate dal consiglio comunale), le previsioni non sono mai state rispettate.

 

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