MESSINA. “Chiederò che a Messina venga la Commissione d’indagine per accertare tutti gli aspetti della vicenda sull’emergenza baracche“. Così Urania Papatheu, senatrice di Forza Italia, ha commentato la consegna dei 48 alloggi di villaggio Matteotti alle famiglie delle baracche di Annunziata, Tremonti, Macello vecchio e via delle Mura, alla quale era presente sabato 23. Cosa scoprirebbe la commissione?

Che sono necessari quattordici anni tra la decisione di costruire i 48 alloggi (cinquanta, in realtà) e la consegna agli aventi diritto, che il ruolo del governo regionale, al momento, è fermo alle promesse e niente più, in attesa che si sblocchino (o si trovino) in fondi della legge 10 del 1990 sullo sbaraccamento, che il ruolo del governo nazionale è pari a zero con la negazione dello stato di emergenza, e che anche il bando lanciato dal comune di Messina per l’acquisto di appartamenti per lo sbaraccamento è fermo al palo.

Ma anche che tra l‘individuazione dei piani particolareggiati di risanamento (settembre 1990), l’adozione (aprile 1994), l’inoltro alla Regione (gennaio 1996) l’approvazione da parte dell’Assessorato competente (giugno 1998) sono passati otto anni, e che altri sette (dicembre 2005) ce ne sono voluti perchè del piano particolareggiato dell’Annunziata, in cui ricadono le quattro palazzine di villaggio Matteotti fosse approvata la variante.

Da lì, altri quattro anni (luglio 2009) perchè l’Iacp aggiudicasse la gara d’appalto, per oltre quattro milioni di euro, per la realizzazione di cinquanta alloggi e delle dieci botteghe. Finito qui? Nemmeno per sogno. Perchè nel 2015 e nel 2017 sono arrivate ben due perizie di variante supplettiva dei lavori, approvate da parte dell’istituto autonomo: i lavori sono terminati praticamente a ridosso delle amministrative di giugno 2018, perchè ad aprile, l’ex assessore al Risanamento Sebastiano Pino, nella delibera di indirizzo per l’assegnazione degli alloggi che poi sono stati materialmente consegnati da Cateno De Luca tre giorni fa, spiegava che “lo Iacp di Messina ha comunicato l’imminente conclusione dei lavori”.

Ovviamente, prima dell’assegnazione delle case, occorreva un nuovo censimento, dato che l’ultimo risale al 2002: ed è stato prodotto dalla Polizia municipale a fine 2017. Alla data della delibera di indirizzo, nonostante il censimento dei Vigili, il dirigente comunicava di essere “prossimo alla conclusione il procedimento di approvazione della graduatoria“: graduatoria che non era pronta ad almeno quattro mesi dalla consegna del censimento.

Cosa diceva la delibera di Sebastiano Pino? In sostanza apriva la graduatoria agli abitanti di alte zone, visto il sovrannumero di alloggi, recependo anche una delibera del quarto quartiere che privilegiava l’assegnazione alle famiglie che vivevano in strade di accesso occluse e ostacolate da problematiche di protezione civile, recando difficoltà alla viabilità quotidiana ed emergenziale”. Il consiglio comunale, infine, ha ratificato la decisione ad ottobre. Quattro mesi dopo, dopo un’odissea di quattordici anni, gli alloggi sono stati consegnati.

Poi c’è la questione del passaggio di consegne da un ente (l’Iacp) all’altro (il Comune di Messina), tra i quali non c’è mai stato molto feeling: l’ultimo episodio una decina di giorni fa, all’Ars, in fase di approvazione della finanziaria regionale. C’è voluto un emendamento, a firma Danilo Lo Giudice (quindi con la paternità nemmeno troppo occulta di Cateno De Luca), per una “interpretazione autentica” della legge regionale 8 del 2018 che all’articolo 62 creava le basi per Arisme, la partecipata per lo sbaraccamento ed il risanamento di Messina. Cosa doveva interpretare l’emendamento? In sostanza, che le aree oggi di proprietà dell’Iacp, cioè quelle su cui sorgono le baracche, sarebbero passate nella disponibilità del comune di Messina, anche per evitare situazioni come quella di Bisconte, in cui un’area sbaraccata è stata abbandonata con le macerie delle casette abbattute, e nel giro di due mesi si è trasformata in una discarica di amianto (e così è rimasta per un decennio).

Una pura formalità, che però tale non è sembrata agli uffici palermitani: una relazione di ottobre della coordinatrice generale dell’Iacp, Maria Grazia Giacobbe, poneva all’assessorato alle Infrastrutture una serie di quesiti che di fatto bloccavano il trasferimento delle aree. A dirimere la questione ci pensava, un mese dopo (quindi novembre 2018) il dirigente generale dell’assessorato, Fulvio Bellomo, spiegando che “si ritiene che la regolamentazione dei rapporti tra gli organi interessati dalla norma a vario titolo (cioè Iacp, comune di Messina e Arisme, ndr), vengono concordati dagli stessi, rilevando che il legislatore ha statuito di trasferire tutti rapporti attivi e passivi facenti capo a codesto Istituto aventi ad oggetto le attività e le opere del citato risanamento, nonché il relativo patrimonio immobiliare. Inoltre, il patrimonio mobiliare in argomento viene trasferito da un ente pubblico non economico (l’Iacp, ndr) alla costituente agenzia comunale dotata di personalità giuridica pubblica, non si ravvisa alcun danno erariale”.

Nonostante la spiegazione piuttosto esauriente del dirigente generale, è stato necessario un emendamento che chiarisse ulteriormente il tutto: lo stesso emendamento non ha avuto vita facile, tanto da essere presentato tre volte in sede di approvazione della finanziaria: per la prima volta ne è stata richiesta una riscrittura, la seconda volta era stato addirittura stralciato. Ripresentato da Lo giudice, è stato infine approvato, spianando la strada al passaggio delle aree dell’Iacp ad Arisme.

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