MESSINA. C’è una vaga atmosfera da pomeriggio giovane del Taitù a inizio anni ’90 alle cinque di un mezzo gelido pomeriggio di Capodanno: sul palco una generico e ballabile r’n’b, i djs veterani Yanez e Leo Lippolis, poi all’improvviso le campane sovrastano il suono e arriva Cateno De Luca, che a sua volta sovrasta le campane facendo il suo ingresso sul palco con una colonna sonora epico/motivazionale tipo Avengers prima della battaglia: Sound of stars di Stefan Erbe, per chi ne avesse curiosità.

Sul palco con lui i suoi sette assessori, dimissionari da ieri, quando hanno rimesso il mandato nelle mani del sindaco che già una decina di giorni fa aveva annunciato un possibile rimpasto (lo aveva chiamato “tagliando”), infreddoliti e imbacuccati, mentre De Luca è disinvoltissimo in magliocino e sciarpetta di seta nemmeno annodata.

Chi immaginava un clima natalizio ed ecumenico è subito accontentato: “Associazione a delinquere finalizzata allo sperpero di denaro pubblico”, e le querele da parte di “Accorinti e i suoi sodali, ai quali spiegherò il danno che hanno fatto in cinque anni”, e da Uil e Cgil, accusate di “connivenza tra sindacati e fonti di sperpero come un pozzo di san Patrizio”. In pratica, De Luca se la fa mandando affanculo (citazione letterale) gente per un’ora e qualcosa, dai dirigenti ai dipendenti, dagli ex direttori generali delle partecipate ai nemici politici.

Il copione è pressoché uguale a quello dei venti comizi precedenti: partecipate, lotta agli sprechi, accuse a trecentosessanta gradi, sistema che sta smantellando nonostante le strenue difese corporative della casta dei poteri forti, qualche aneddoto (“Solo di assicurazione abbiamo fatto un taglio di 250mila euro all’anno di mezzi fermi”, spiega riguardo all’Atm)

Poi racconta la sua versione della crisi dei rifiuti, non prima di aver lanciato una frecciata non esattamente elegante a “Gargamella”, cioè l’ex assessore all’Ambiente Daniele Ialacqua, spiegando in sostanza che, dopo il suo intervento (e il licenziamento dell’ex direttore generale Aldo Iacomelli), la situazione è tornata alla normalità e “spazzatura per la strada non ce n’è più” (più o meno, diciamo).

Non c’è, comprensibilmente essendo Capodanno, la folla delle grandi occasioni che De Luca riusciva a smuovere fino a settembre: il tono (di nuovo barricadero) del comizio serve per riaffermare il suo ruolo di uomo solo contro tutti, di rivoluzionario picconatore e di “liberatore” del palazzo, che si è parecchio offuscato negli ultimi due mesi, quando la sua amministrazione ha preso la strada della “normalizzazione” invece che del cambiamento.

Un applauso, non calorosissimo, De Luca lo richiede alla folla a favore del segretario generale Rossana Carrubba, che gli dà la stura per impallinare i dirigenti, che “non so dove sono, e si prendono la libertà di andare in Spagna per un mese, senza dire niente a nessuno”, spiega, senza fornire ulteriori elementi su chi sia il desaparecido.  “Io più di undici non ne voglio, i dipartimenti scendono a otto: di più non ne voglio”, spiega, per il sì e per il no.

Quindi i blockbuster: gli stipendi d’oro dei dirigenti, e gli attacchini di Palazzo Zanca, paradigma dei dipendenti fancazzisti che “vanno presi a calci in culo”. “Io odio le rendite di posizione: salite, non tocca a voi la decapitazione…certo, non è detto che non accada”, dice sinistramente, invitando sul palco i consigli d’amministrazione delle partecipate. La novità è che ci sono risorse e progettazione esecutiva per la ricerca di risorse idriche “autoctone”, da trovare in loco e fare a meno dell’acquedotto di Fiumefreddo.

Sul fatto che le baracche, nonostante sia trascorso il 31 dicembre, siano ancora tutte lì, e tutte abitate, De Luca coraggiosamente non glissa, ma distribuisce le responsabilità in varie direzioni, che convergono tutte verso le “due forze di governo che hanno preso Messina a pernacchie. Potevamo fare il miracolo in sei mesi, lo faremo nei prossimi quattro anni e mezzo”, spiega, piuttosto coraggiosamente, dati i risultati finora.

Quando dichiara che “A Messina c’è il 50% di evasione, ne vogliamo parlare?”, tra la folla cala un silenzio gelido almeno quanto il clima esterno. “Non ci sono dubbi che se vi chiedo chi è che paga alzate tutti la mano”, gigioneggia De Luca, mentre tra gli infreddoliti astanti serpeggia la paura che possa domandarlo davvero. Perchè finchè ci sono colpe da distribuire a terzi assenti va bene, ma insomma, con moderazione, presenti esclusi, ecco.

A sentire il sindaco, si sono trovati soldi in ogni dove (a centinaia di milioni), ci sono cantieri dappertutto, si è riorganizzata tutta la macchina. Qualcuno annuisce, molti hanno in faccia un velato scetticismo, ma per il sì e per il no si applaude, magari non troppo convintamentre, ma si applaude. Ma è vero che dall’insediamento sono passati sei mesi, e un credito di apertura ancora De Luca ce l’ha, abbondante. L’annuncio inedito è la fondazione che dovrebbe nascere col brand Messina, alla quale De Luca vorrebbe conferire tutti i beni monumentali, “e anche l’ente teatro” (e anche qui stoccata sugli stipendi dei dipendenti).

Poco prima di finire il colpo di teatro: assessori riconfermati in toto e dimissioni strappate con gesto plateale, più o meno come aveva fatto con le sue due mesi fa. “Viva Messina!”, urla, e dà il via ai brindisi: e ricomincia la musica epico/motivazionale.

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Padulo
Padulo
1 Gennaio 2019 23:32

Il solito paranoico.

Utente imbarazzata
Utente imbarazzata
2 Gennaio 2019 10:40

È stato davvero molto imbarazzante anche se ormai dovremmo avere l’abitudine. Arrivo alle 18,30 (orario previsto per il concerto dei Kunzertu) e mi trovo il solito esaltato attorniato da esaltati che banniava;non vorrei essere malelingua ma secondo me ha usato l’evento per,come al solito,farsi campagna elettorale (ma quando finirà?);poi sul palco è salito un gruppo con uno zampognaro…