MESSINA. Il “SalvaMessina”, la serie di misure proposte dal sindaco Cateno De Luca, discusse e approvate dal tavolo tecnico con parti sociali e sindacati e che andranno inserite nel nuovo piano di riequilibrio che il consiglio comunale dovrà approvare, è nuovamente sotto attacco. Una settimana dopo essere stato firmato dal tavolo (Cgil e Uil escluse), a metterne in luce incongruenze e criticità è MessinAccomuna.

Il laboratorio di partecipazione politica, in una lunghissima e dettagliata nota, si sofferma sull’argomento finanziariamente più scottante e più controverso, l’Atm. Da tre mesi si assiste ad un balletto di cifre nel quale i numeri non sono mai quelli del giorno precedente, e la nota tenta di fare chiarezza sui debiti: che non sarebbero i famigerati 81 milioni di euro che l’amministrazione sventola tipo drappo rosso di fronte al toro.

“L’importo legittimamente riconoscibile come debito fuori bilancio da parte del Comune è limitato al valore negativo netto del patrimonio aziendale; ogni altro importo causerebbe un danno indebito ai cittadini”, si legge nella nota. Cosa significa? Poiché l’Atm è “azienda speciale” e non “società di capitali”, la legge non prevede che la copertura delle perdite aziendali riconoscibile dall’Ente Locale debba spingersi alla ricostituzione della dotazione iniziale: “L’importo di 81 milioni indicato dall’amministrazione De Luca risulta dalla somma delle perdite registrate nei bilanci Atm al 31.12.2013 (circa 51 milioni), cui vengono indebitamente aggiunti circa 30 milioni di debiti risultanti nei bilanci del periodo 2013-2016, bilanci che però chiudono tutti in attivo. La coesistenza di debiti e bilanci attivi indica che a fronte di obbligazioni di pagamento non saldate l’azienda ha maturato crediti non riscossi. Non ci sono quindi perdite di bilancio, essendo i debiti coperti da crediti considerati certi dall’organo di revisione e come tali riportati nei bilanci aziendali”, si legge.

Ne discende, secondo MessinAccomuna, che “le perdite aziendali non coperte dalle risorse aziendali (ed equivalenti al valore negativo del patrimonio netto dell’azienda)” sono di 32,4 milioni, e che “l’eventuale inserimento nel piano di riequilibrio di Messina dell’importo di 81 milioni derivanti dalla somma di “disavanzi” e “debiti coperti da crediti” relativi ad ATM sarebbe illegittimo, non possedendo le qualità o le condizioni richieste dalla legge per essere riconosciuto come tale”.

Poi c’è la questione della liquidazione, che MessinAccomuna stronca senza pietà e misericordia: “la premessa posta dall’amministrazione a questa proposta è infondata – recita la nota – la situazione finanziaria dell’azienda appare governabile e risolvibile con: risorse di bilancio, piano di riequilibrio del Comune, riduzione del debito definita dalla “rottamazione delle cartelle” e ricapitalizzazione tramite immobile, dovendo invece l’azienda affrontare un problema di disponibilità liquide immediate; l’allungamento a 20 anni del periodo di riequilibrio del Comune consente inoltre lo sviluppo dei servizi e degli investimenti. Quanto al presunto obbligo di trasformazione societaria, l’operazione non è necessaria”, conclude il documento.

Perchè MessinAccomuna ostenta questa sicurezza? Perchè, si legge, “Le aziende speciali, rientrando nel novero delle aziende “non fallibili”, non sono soggette alle normative concorsuali o fallimentari. Se tale operazione dovesse comunque avvenire, la convenienza andrebbe preventivamente e tecnicamente dimostrata e l’azienda dovrebbe prendere la forma della società “in house”, prevedendo la totale partecipazione pubblica e l’impossibilità di cedere quote a privati. Ciò per evitare (in linea con l’esito del referendum del 2011) che sui servizi pubblici si realizzino profitti privati”. Su questo punto, comunque, De Luca è già stato molto chiaro (e il consiglio comunale al quale spetta la decisione finale, si è ugualmente espresso): l’azienda che (eventualmente) verrà resterà pubblica.

 

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