MESSINA. Tra il sindaco Cateno De Luca, e l’ex assessore al Bilancio Guido Signorino, ormai non c’è giorno che non fiocchi qualche accusa reciproca, seguita da un comunicato, in cui i numeri dell’uno sono confutati da quelli dell’altro. Una situazione che non avrà fine se non in un faccia a faccia o, meglio, affidando “le carte” ad una società di revisione esterna per una imparziale (e definitiva) due diligence sui conti del Comune.

Nel frattempo, dopo il dossier da 350 pagine allegato alla relazione di inizio mandato di Cateno De Luca, in cui si metteva (un’altra volta) in pesante discussione l’operato economico-finanziario dell’amministrazione guidata da Renato Accorinti, Guido Signorino risponde con un ennesimo comunicato “a confutazione” (stavolta senza citare numeri, se non nella parte finale).

“De Luca la smetta di sparare cifre e provare ad accreditarsi screditando gli altri. Un giorno eravamo in dissesto, il giorno dopo avevamo “scovato” un “tesoretto” nascosto da 50 milioni, oggi, invece, scopriamo 30 milioni di debiti ignoti che sbucano trenta giorni dopo aver approvato il bilancio. E giù accuse gravi a lavare sull’amministrazione Accorinti e sui suoi bilanci “falsi”. Prima i debiti dell’ATM erano 70 milioni, poi 55, poi 32, adesso tra 17 e 10, che si aggiungono ai 32. Prima leggiamo nella “Relazione di inizio mandato” (quella firmata in ogni pagina dal Sindaco e inviata – extra legem – alla Corte dei Conti) che il bilancio è ok e le partecipate (ATM compresa) sotto controllo, poi nel “dossier” che è tutto uno sfacelo. A quanto pare ruolo istituzionale e propaganda continuano a intersecarsi, col risultato (probabilmente voluto) di disorientare l’opinione pubblica e i Consiglieri Comunali per far apparire “indispensabili” i progetti del Sindaco che tali non sono”, attacca a testa bassa Signorino.

“Lo ripetiamo: il bilancio 2018-20 approvato dalla giunta Accorinti era legittimo e strutturalmente equilibrato, soddisfacendo tutti gli accantonamenti previsti per legge, compresi quelli relativi ai debiti fuori bilancio comunicati dai dirigenti e asseverati dal Collegio dei revisori. Se poi ieri sera sono sbucati debiti nascosti, De Luca fa bene a cacciare i dirigenti, a tenerne in carica solo quattro e, magari, a portarseli da Fiumedinisi o da dove vuole lui”, continua sarcastico.

Quanto al dissesto, proprio non ci siamo – spiega, entrando nello specifico – Quando una città ha condizioni di impossibilità a rispettare gli equilibri strutturali dei bilanci, garantendo i servizi reputati essenziali e non può pagare i debiti, può dichiarare il dissesto o ricorrere alla procedura straordinaria del riequilibrio. Che non è una passeggiata, e lo è meno ancora con la nuova contabilità, che rende più “duri” (ma più corretti) i bilanci. Dal 2015 bisogna costruire ogni anno fondi di accantonamento crescenti per il rischio delle mancate riscossioni e per prevenire quello delle spese legali. Nel frattempo il Governo e la Regione hanno sensibilmente ridotto i trasferimenti. Si capisce perché città con piani approvati anche dalla Corte dei Conti (Napoli, Catania) sono stati poi mandati in default dalla Magistratura contabile”.

“Il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, il quale, come promesso in campagna elettorale (e a differenza del nostro), si è immediatamente dimesso da Parlamentare Europeo per dedicarsi alla sua città senza “tentazioni” o laute maggiorazioni di stipendio, aveva sconfitto Enzo Bianco a giugno. Da sindaco adeguato a una città di rango metropolitano non è andato in piazza ad agitare fogli e insultare il suo predecessore definendolo falsario. Consapevole delle difficoltà ha lavorato con Governo e Parlamento per ottenere un provvedimento nel “milleproroghe” che salvasse Catania dal default, già decretato dalla Corte dei Conti. Perché sa che il dissesto è un male maggiore per la comunità che amministra. Lo stesso ha fatto De Magistris per Napoli. De Magistris e Bianco (o Pogliese) sono dilettanti allo sbaraglio? No, sono sindaci che hanno governato e governano cercando l’interesse dei loro cittadini e fronteggiando complessità finanziarie simili a quelle di Messina, se non maggiori. Lo fanno senza colpi di teatro, senza annunci shock che cambiano da un giorno all’altro, analizzando con serietà e sobrietà le proprie possibilità e costruendo (o ricostruendo) strumenti finanziari complessi. Con l’obiettivo di limitare l’impatto sociale del riequilibrio sui cittadini e, soprattutto, sui più deboli. Facile chiudere il Comune e simulare (o peggiorare) le condizioni di gestione di un Ente dissestato, che è obbligato a tagliare tutti i servizi non previsti per legge. Ma un sindaco ha il dovere, secondo noi, di mitigare le difficoltà della città, di evitare l’avvitamento di una crisi occupazionale che darebbe un colpo mortale all’economia locale“.

“Inoltre non ci sono le condizioni – continua – Tra gli accantonamenti già realizzati e il “fondo di rotazione” del Governo (che si restituisce in 30 anni), Messina ha tutte le risorse finanziarie per pagare i debiti censiti e può ben recuperare entro il 2033 ciò che serve per partecipate e debito “latente” (quello che potrebbe venire dai contenziosi), che si è già ridotto di 80 milioni. Il bilancio “strutturalmente riequilibrato” 2018-20 copre (con tagli, certamente) gli accantonamenti necessari per il piano a 10 anni e il suo ampliamento 20 anni consente di rendere socialmente sostenibile il riequilibrio finanziario”, rincara.

 “Va detto- conclude polemicamente – che la drammatizzazione in corso gli serve a far sembrare necessario il suo obiettivo: privatizzare i servizi pubblici e tagliare i servizi sociali. Non si cada in questa trappola, che porterà alla riduzione dei servizi ai cittadini e dell’occupazione in città“.

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments