Il 15 marzo è morto a Milano per una polmonite provocata dal Covid-19 Vittorio Gregotti, architetto e intellettuale. Per molti anni i suoi interventi teorici e costruttivi hanno segnato il dibattito italiano e internazionale in campo architettonico ed urbano, ma soprattutto ha lasciato più di un migliaio di progetti e realizzazioni sparse in Italia in Europa e anche in Cina. Ha scritto tanto: libri, articoli, interventi pubblici, a lungo è stato direttore della prestigiosa rivista internazionale di architettura Casabella.

I suoi progetti hanno avuto grandi fortune ma anche critiche feroci: dal contestato quartiere Zen a Palermo realizzato tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta; il Centro Culturale di Belém a Lisbona; l’università di scienze di Palermo, la sede dell’Università della Calabria a Cosenza; il Centro ricerche dell’Enea a Portici, l’insediamento di case popolari a Venezia, la sistemazione del Parco archeologico dei Fori imperiali a Roma. Ma anche la trasformazione delle aree della periferia milanese della Bicocca, alla periferia di Milano, sino al nuovo quartiere residenziale nell’area di Pujiang, in Cina.

Nel 1985 in occasione del simposio internazionale di progettazione L’isolato di Messina, Vittorio Gregotti è stato uno dei relatori invitati per avviare i lavori laboratoriali degli 8 progettisti internazionali invitati a lavorare per Messina per una settimana nel padiglione 2 della fiera.

La lettura urbana di Messina si intrecciò con i temi del dibattito e di critica a quelle stagioni della modernità che cancellarono l’idea di cellula architettonica e accantonarono l’urbanistica come somma di queste cellule, disperdendo piuttosto gli elementi costruiti nella sola struttura connettiva affidata al verde e rifiutando le matrici geometriche delle strade e degli edifici.

Gregotti aveva indagato con attenzione la forma dell’isolato urbano ma soprattutto  la capacità generativa delle matrici che fondano gli insediamenti in rapporto con la forma del territorio e l’idea di paesaggio e di storia.

Da direttore della rivista Casabella, nel 1986 Gregotti dedicò la copertina e un lungo report  sugli esiti progettuali e sul Simposio L’isolato di Messina nel numero 523 della rivista. 

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I quattro ambiti di intervento proposti nel Simposio, che rispondevano per capacità di sintesi alla forza generativa della griglia degli isolati e cioè l’asse di Giostra, la striscia del piano della Mosella dal curvone Gazzi al porto, l’asse di via santa Cecilia, l’asse storico di corso Cavour, vennero letti da Gregotti sulla scorta dei materiali preparati dagli organizzatori e alle soglie di un nuovo piano regolatore che era in gestazione.

Gregotti in quella occasione ricordò che Messina era una città speciale non solo per la Sicilia o per l’Italia ma anche per l’Europa, un caso raro di citta ricostruita in ottanta anni e che in quel numero di anni ricostruì la sua stessa idea di storia.  

Nelle sue parole vi erano alcune intuizioni, ancora oggi esperibili e forse tante volte discusse successivamente ma mai verificate attraverso progetti realizzati. 

 

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Giostra: la forza e la forma del territorio (il fiume tombato) in rapporto alle sequenze geometriche degli isolati, potrebbe secondo Gregotti unire il mare con i monti attraverso la capacita di un progetto infrastrutturale di paesaggio, strada dilatata che gli ricordava la strada del Commonwealth Avenue Mall di Boston, enorme stradone poi risolto dal progetto paesaggistico di Frederick Law Olmsted e Charles Sprague Sargent.

L’asse Cavour che seppure volutamente monumentale non aveva, secondo Gregotti, delle architetture all’altezza di quel ruolo, l’asse di santa Cecilia che per Gregotti aveva un potenziale di interesse per la serie di sistemi riferimento mare monte. Ma in quella occasione si concentrò, per scelta e per interesse, sul nastro di isolati e reticolo urbano che partendo dal curvone Gazzi della ferrovia si estendeva per tutto il piano della Mosella fino al porto. Gregotti, a differenza di altre esperienze di città progettate a “scacchiera”, individuò nel sistema insediativo e regolatore dell’isolato messinese dei caratteri specifici e caratterizzanti. Oggi per le vicende che riguardano il rapporto d’uso della città e per le vicende emergenziali di questi giorni, sono più che mai terreno di ragionamento.

L’isolato messinese secondo le parole di Gregotti non è un blocco chiuso, ma un sistema interconnesso, cioè si presenta non tanto come qualcosa che finisce per impacchettare un percorso pubblico…ma che costituisce un sistema continuo di rinvii spaziali, di rinvii funzionali, che stabiliscono una connessione urbana molto più complessa che non la somma semplice del sistema degli isolati chiusi.”

Poi ancora la qualità abitativa che unisce spazi collettivi di corte e spazi privati di abitazione, persa negli anni sia nell’uso che nelle mancate progettazioni di nuovi usi, ma anche l’importanza della gerarchia degli elementi che dalla strada, alle corti, alle pavimentazioni, alle alberature consegnano una idea di città ricostruibile nella contemporaneità.

In quella occasione “le provocazioni” di Gregotti furono sì di partire dalla soluzione specifica della matrice ad isolati, ma da confrontare con le ipotesi complessive di trasformazione della città. 

In quell’occasiona sottolineò la necessità di lavorare “sui bordi” di questi sistemi individuati, bordi che erano e ancora sono tutt’altro che risolti. 

Il bordo della striscia del piano delle Mosella, nello specifico di Via la Farina fino a raggiungere il mare è parte particolarmente “molle” e in cui occorre riprogettare. Questo tema, ricordiamo che ebbe successive occasioni di progetto sia seminariale che concorsuale fino a giungere prima al bando di progettazione della via del Mare e poi al PIAU (Piano Innovativo di Ambito Urbano per la zona curvone Gazzi-Porto) ancora in corso di definizione, passando per le attuali trasformazioni viarie di via don Blasco. 

Altro tema che lanciò fu quello della necessità di unrestauro progettuale” di tutta la fascia degli isolati intorno alla zona di villa di Dante fino alla fiumara Zaera, restauro che non deve imbalsamare nulla,  ma che lavori sulle qualità abitative delle abitazioni e spaziali delle corti come matrice dello spazio semipubblico, facendo operare,  dentro un quadro coerente con quel sistema, anche gli stessi abitanti (diremmo oggi progetti sostenibili) e sviluppi la potenzialità dei punti di incrocio e connessione con le eccezioni architettoniche possibili e determinate dalle fiumare urbanizzate nell’incontro con la linea di costa e di mare (diremmo oggi progetti di architettura di paesaggio).   

Insomma, Vittorio Gregotti passò una giornata di marzo del 1985 nella nostra città, intuendo con il suo metodo di lettura e analisi alcuni dei temi di progetto che ancora ci trasciniamo dietro, più come peso che come possibilità.

35 anni dopo lui è morto, noi siamo chiusi nelle case per un virus e la città di Messina, che come disse lui, dopo il sisma aveva ricostruito la sua storia in ottanta anni, non ha provato a costruire una porzione, anche piccola, di futuro.