MESSINA. «Il mio più grande timore è che qualcuno a Genova fosse a conoscenza del pericolo e abbia preferito tacere per paura di ritorsioni, e che lo stesso possa accadere anche nella nostra città. Tutti i viadotti autostradali presenti sul nostro territorio sono stati costruiti con la medesima tecnica del ponte crollato a Genova, ovvero il cemento armato precompresso, che ha una vita utile fissata dalla normativa pari a 50 anni. Oltre quel lasso di tempo i controlli periodici e le verifiche costanti sono di fondamentale importanza e permetterebbero di salvaguardare l’incolumità di tutti i cittadini». Parole di Gaetano Sciacca, che a nome di tutto il MoVimento 5 Stelle esprime il proprio cordoglio per il crollo del ponte di Genova e ribadisce l’importanza della prevenzione e della tutela dell’esistente, “ovvero le più importanti opere infrastrutturali da realizzare in un territorio fragile e martoriato come il nostro”.

«Superato il dolore per questa tragedia – scrive l’ex ingegnere capo del Genio Civile – dovremmo interrogarci tutti quanti sul perché un’arteria così trafficata e nevralgica sia crollata all’improvvisoe su come sia possibile che nessuno si fosse mai accorto di nulla. Ci sono e ci saranno delle responsabilità da accertare, per rendere in parte giustizia alle tante vittime innocenti che hanno perso la vita nelle loro autovetture mentre si recavano a casa o al lavoro. È una cosa inaccettabile.Purtroppo si parla sempre a sproposito di prevenzione, che significa essenzialmente controllare, verificare e denunciare situazioni di rischio per la pubblica incolumità, senza preoccuparsi degli umori dell’opinione pubblica o delle logiche politiche. Nessun interesse privato o economico deve prevalere in alcun modo sugli interessi della collettività».

«In passato – prosegue Sciacca – il sottoscritto è stato più volte attaccato per aver detto la verità e aver denunciato le condizioni di rischio del viadotto Ritiro. Ebbene sono orgoglioso di averlo fatto. E non me ne pentirò mai. Siamo tutti chiamati a cambiare questa città e questo Paese, dove chi sa e conosce viene in tutti i modi emarginato e attaccato. Prima di parlare di nuove opere infrastrutturali, la priorità deve essere quella di dedicare tempo, risorse e attenzione alla messa in sicurezza del territorio. Bisogna sconfiggere l’omertà e l’ignavia per garantire alla nostra terra un futuro in cui la verità e la giustizia trionfino sempre».

Ad intervenire sulla tragedia di Genova è anche il presidente dell’Ordine degli Architetti Pino Falzea, che mette in guardia la collettività sulle opere costruite in cemento armato precompresso, “che non è eterno e possiede un ciclo di vita stimabile in 50/60 anni”. «Quello della maggior parte delle nostre infrastrutture – scrive Falzea – si è esaurito, dobbiamo farcene una ragione ed agire di conseguenza. Questo problema, enorme, non riguarda solo le infrastrutture: palazzi scuole chiese centri sociali, realizzati con tale tipologia di struttura, non derogano alla durata anzidetta. Se poi questi fabbricati sono stati sopraelevati in assenza di interventi di consolidamento delle strutture sottostanti e delle fondazioni, oppure sventrati nelle murature collaboranti per ampliare le aperture o realizzare impianti invasivi, i rischi si moltiplicano. Saremmo dovuti intervenire prima ma, seppur con grande ritardo, dobbiamo intervenire adesso! E sarebbe l’ora che in questo paese si cominciassero ad ascoltare i tecnici, coloro che hanno competenza specifica in materia. Innanzi tutto il tema della sicurezza delle città, totalmente assente dai programmi politici dei vari partiti che si sono confrontati nelle ultime elezioni nazionali, deve essere riportato al centro del dibattito politico».

Per l’architetto “occorre un grande piano di manutenzione delle città, piccolissime piccole e grandi, che preveda importanti incentivi per gli interventi di rigenerazione e riqualificazione, anche attraverso la sostituzione edilizia. In ogni città, prima ancora della carta dei vincoli e delle emergenze storico architettoniche, si deve predisporre una carta dettagliata degli edifici e delle infrastrutture a rischio che occorre demolire, perché non più sicuri o perché a ridosso di versanti instabili o troppo vicini ai corsi d’acqua. Vigilando attentamente contro le possibili speculazioni, dobbiamo avere il coraggio di mettere in atto un grande programma della città da demolire e ricostruire, che deve costituire l’ossatura portante di nuovi strumenti
urbanistici sufficientemente dinamici, incentrati sulla rigenerazione urbana, riqualificazione architettonica e rammendo delle periferie. Negli anni 70 – prosegue – sono stati commessi assurdi abusi contro fabbricati straordinari che punteggiavano di bellezza le nostre città, teatri palazzetti e ville di grande pregio architettonico vennero demoliti senza pudore alcuno. I grandi crimini culturali di allora però non devono condizionare l’oggi, abbiamo il dovere di sostituire o rigenerare ciò che ha concluso il suo ciclo vitale: sostituire gli edifici senza pregio – e le città ne sono piene – rigenerare ciò che merita di continuare a esistere. Per farlo non bastano limitati incentivi di defiscalizzazione, perchè non si possono mettere in sicurezza solo i
fabbricati dei cittadini ricchi o benestanti: occorre che il grande piano industriale della rigenerazione urbana sia sostenuto da importanti finanziamenti statali, ai quali potranno affiancarsi gli investimenti degli imprenditori privati, che permetta a tutti di vivere in città sicure e belle, dal centro alle periferie”.
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