MESSINA. «Il consiglio comunale straordinario tenutosi a Messina lo scorso 24 febbraio ha appalesato, qualora ve ne fosse stato ulteriore bisogno, l’impotenza della rappresentanza politica delle comunità locali nei confronti delle grandi società, sia esse stazioni appaltanti ovvero aziende esecutrici/appaltatrici delle grandi opere». Parole dei consiglieri comunali del Pd Alessandro Russo, Antonella Russo e Felice Calabrò, che intervengono sul tema del raddoppio ferroviario Fiumefreddo/Giampilieri e sul presunto inquinamento di arsenico nelle zone di Unrra e Contesse.

«Preliminarmente, al fine di sgomberare il campo da facili e stucchevoli strumentalizzazioni di sorta – si legge  in una nota – evidenziamo la nostra posizione assolutamente favorevole all’esecuzione dell’opera che ci occupa, ovvero il raddoppio ferroviario Fiumefreddo/Giampilieri, attesa l’importanza strategica della stessa per la mobilità generale. Premesso ciò, tuttavia appare doveroso interrogarsi sul metodo adottato per la realizzazione dell’opera in questione, metodo che ovviamente deve essere parametrato con gli interessi delle comunità interessate, metodo che deve – dovrebbe – essere il frutto di una ponderata analisi valutativa che tenga in conto le diverse esigenze in campo, contemperandole e giungendo ad un vero e sano equilibrio delle stesse. Doverosamente, pertanto, occorre porre la domanda: nel caso che ci occupa il metodo adottato per la realizzazione di questa grande opera garantisce l’equilibrio predetto???? Da quanto è emerso negli ultimi mesi, e da quanto è stato acclarato nel civico consesso, la risposta non può che essere negativa. Infatti, dal dibattito tenutosi in data 24/02/2025 nell’aula consiliare di Palazzo Zanca è emersa plasticamente l’inversione della normale e logica impostazione, l’inversione del rapporto tra comunità e opera pubblica, laddove, non più l’opera pubblica è posta al servizio della comunità, bensì, viceversa, la comunità ed il suo territorio sono soggetti (quasi supini) all’opera pubblica. Paradossalmente l’opera pubblica (e più grande e importante la medesima è, più è calzante il seguente ragionamento) con il suo alone di necessarietà, connesso alla consistenza dell’investimento e a tutto quello che ciò comporta, in termini di sviluppo, di impiego/lavoro, di impatto sociale sotto il profilo di ricaduta immediata e d’indotto sul territorio, assume un’importanza primaria, tale da modificare, ovvero addirittura invertire, il rapporto con la comunità di riferimento».

«Nel caso che ci occupa, a nostro modestissimo avviso, questo è accaduto. Invero – proseguono – i rappresentanti amministrativi/politici locali, sia essi sindaci, deputati regionali, amministratori in genere, nel loro agire, teso a garantire l’interesse delle comunità rappresentate, hanno palesemente manifestato la loro impotenza innanzi alla grande azienda, sia essa stazione appaltante ovvero impresa appaltatrice, dalla quale non riescono ad ottenere le opportune informazioni in ordine al reale impatto che l’esecuzione delle opere (intese in senso lato) ha sul territorio e sulla relativa comunità. Ciò è emerso chiaramente ed inconfutabilmente. Preso atto di quanto sopra, lecita e legittima appare questa ulteriore domanda: un sindaco, il quale non ha ricevuto risposte rassicuranti, ovvero non ha ricevuto risposta alcuna rispetto alle sue legittime domande in ordine all’impatto delle attività connesse alla grande opera sulla salute dei propri cittadini, che poteri ha per tutelare la propria comunità? Ad esempio, il nostro primo cittadino potrebbe disporre, temporaneamente – evidentemente in attesa di ricevere le risposte richieste, e soprattutto le dovute rassicurazioni da parte delle autorità terze competenti, preposte queste ultime a vigilare sulla tutela della salute pubblica-, con ordinanza la sospensione dello stoccaggio nel territorio cittadino del materiale di scavo in questione? La domanda, in verità, potrebbe apparire eccessivamente e drasticamente precisa, tuttavia, anche qualora si ritenesse più opportuno e conveniente un approccio meno estremista, ossia più diplomatico, di certo il nostro primo cittadino non potrebbe limitarsi allo scarno scambio epistolare di che trattasi, ben più vigorose e determinate dovrebbero – devono (!!!) – essere le azioni di chi è preposto a rappresentare e tutelare un’intera comunità».

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