Anche Messina, come Catania, vanta un suo Palazzo degli Elefanti o, per meglio dire, quanto ne resta ancora in piedi . A suo tempo, l’edificio, situato all’ incrocio tra le vie Tommaso Cannizzaro e Porta Imperiale, aveva un aspetto davvero monumentale e venne eretto tra il secolo diciottesimo e il diciannovesimo di fronte al cinquecentesco Grande Ospedale .
La catastrofe del 1908 distrusse, oltre al Grande Ospedale (che aveva accolto tra i suoi pazienti anche lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes , autore del Don Chisciotte, ferito nella battaglia di Lepanto) anche parte del Palazzo degli Elefanti. Ne rimane oggi solo il portale e l’ala destra (l’ala sinistra e’ stata inglobata nel convento carmelitano attiguo alla Chiesa del Carmine) .
La caratteristica denominazione proviene dal fatto che ai lati dell’arco del portale, “l’architetto Giovanni Maffei da Carrara, secondo quanto riferito da Gaetano La Corte Cailler, inserì due atipiche teste d’elefante, bizzarra reminiscenza figurativa dell’arte manierista” (cfr. Nino Principato da ‘Messina ieri e oggi.it’). Una curiosità che solleciterebbe maggiormente l’interesse degli osservatori se il Palazzo versasse in condizioni migliori da quelle che a tutt’oggi presenta.
La restante parte di quello che costituiva un tempo un complesso abitativo formato da un piano terra, un piano ammezzato e un primo piano (quest’ultimo attualmente non più presente) spicca infatti per il suo riprovevole degrado . Ubicato sotto il piano della strada (in base al livello esistente prima del terremoto) il cortile antistante e’ una vera e propria giungla d’erba mentre il fabbricato restante è adibito a un esercizio commerciale.
Insomma, del palazzo che fu residua un rudere seminascosto alla vista del pubblico della cui sorte sembra che nessuno si interessi, men che meno gli organi istituzionalmente preposti alla sua degna conservazione.