MESSINA. Dopo tanti anni di lontananza Chiara torna a casa. Una cena di famiglia in campagna, un passato che la rincorre e la consapevolezza che ormai è giunto il momento di affrontare tutto ciò da cui scappa da tempo. Questa è per grandi linee la trama di “PHOBIA”, il film di Antonio Abbate, regista ventiseienne foggiano, all’esordio con il suo primissimo lungometraggio, la cui prima siciliana è stata presentata presso la Multisala Cinema Apollo lo scorso 26 ottobre. A fine proiezione, per il pubblico presente, in una sala gremita, è stato possibile partecipare all’incontro e al dibattito con il regista e l’attore messinese Eugenio Papalia. Durante la narrazione sono i personaggi a tenere alta l’asticella del pathos e della suspense, che crescono gradualmente con il passare dei minuti. Le loro espressioni dicono tutto, ancora prima delle loro parole. In un gioco che confonde ciò che è reale da ciò che non lo è, disorientando sia la protagonista, quanto il pubblico, chi sta nascondendo una terribile segreto? Phobia è un film di genere che punta i riflettori su una tematica attuale, quella della salute mentale, e lo fa fornendo allo spettatore tutti gli elementi possibili per osservare cosa sta accadendo nella storia, sia da un punto di vista oggettivo, che soggettivo.

“Sicuramente il thriller, come anche il giallo, non è un genere molto frequentato dal panorama del nostro cinema, con le dovute eccezioni che comunque ci sono ma non sono così usuali. Devo dire che da parte mia sono sempre stato un appassionato del genere ed un grande spettatore di film gialli, e quindi poter esordire con un film di questo genere è stata la chiusura di un cerchio – spiega il regista Antonio Abbate – La sceneggiatura, scritta da Michele Stefanile e Giacomo Ferraiuolo, inizialmente andava più verso il versante orrorifico, però ho pensato che non fosse l’aspetto più interessante di questa storia. Quello che volevo fare era più un film di suggestioni e di atmosfere piuttosto che andare verso la violenza, e quindi l’abbiamo rimodellato insieme per renderlo il film che è diventato poi. Una caratteristica di tanti film di genere, oltre a raccontarci delle storie che ci intrattengono, è quella di portare sullo schermo le paure e le ansie della società del periodo in cui questi lavori vengono realizzati. Anche qui abbiamo cercato di rappresentare un tematica molto sentita attualmente che è proprio la questione relativa alla salute mentale, di cui adesso se ne parla di più, ma resta in ogni caso un forte stigma sociale. Questo è stato anche un punto fondamentale nella concezione del film, che ha riguardato molto da vicino il modo di girarlo. Il film cerca, infatti, continuamente di confondere la realtà con l’immaginazione per avvicinarci al punto di vista di Chiara, che non riesce a distinguere quali delle cose attorno a sé siano reali.”

Significativa anche la scelta degli attori, si va dai giovanissimi a chi ha già una carriera più che consolidata, da chi proviene dal mondo del teatro a chi spopola su piattaforme social come TikTok. Jenny De Nucci è la protagonista, al suo fianco come coprotagonista troviamo l’attore messinese Eugenio Papalia nelle vesti del fratello Antonio, con loro Antonio Catania, Beatrice Schiaffino, Federico Tocci, Francesca Martini, Massimo De Rossi e Federica De Benedittis.

“Non ci sono film dove il cast è un aspetto secondario, ma in questo caso più che in altri penso che fosse davvero uno dei punti principali su cui tutto il film si regge. Si regge tantissimo, infatti, proprio sugli intrighi dei personaggi e sulle relazioni tra di loro – precisa il regista foggiano, d’ adozione romana – anche perché poi ci sono diversi momenti del film che sono di puro dramma. Sono molto contento del lavoro fatto con il cast. Ci sono interpreti molto diversi tra loro sia come età che come provenienza: c’ è chi come Jenny De Nucci viene dal web e adesso ha una bellissima carriera da attrice, chi viene dal teatro, ed attori consolidati del cinema italiano come può essere Antonio Catania che si è divertito nell’ interpretare un ruolo nuovo e diverso dai suoi soliti, accogliendo con molto piacere la proposta di far parte del film.”. Un thriller psicologico piacevole, d’ ambientazione rurale e familiare, che vi terrà con gli occhi incollati sullo schermo in un’altalena di emozioni alla ricerca della verità. Il film acclamato positivamente dalla critica, dal magazine specializzato Nocturno alla trasmissione di RAI1 Cinematografo, sarà ancora in sala, in città, per qualche giorno al Cinema Apollo. “La critica fino ad ora lo ha accolto generalmente bene – racconta il giovane regista – e come ho già detto giovedì sera durante la presentazione, per quanto ci sia stata una distribuzione nazionale il film non era ancora arrivato in Sicilia e mi fa piacere che adesso ci sia arrivato. Sono molto felice di questo.” 

Un film dai personaggi fortemente espressivi che portano sulle spalle tutta la tensione della narrazione. Antonio, il tuo personaggio, non è un cattivo, ma certamente è un ragazzo molto arrabbiato. Come ti sei preparato per entrare nel suo mondo?

“Il lavoro che abbiamo fatto sui personaggi con il regista -spiega Papalia- come ci siamo sempre detti con gli altri attori protagonisti, è stato fondamentale: non c’ è stata chissà quale preparazione prima del film, anche perché è avvenuto tutto abbastanza velocemente, anche i casting non hanno avuto tempi dilatati. Ed è stato molto interessante come abbiamo lavorato sul set, è una cosa che non capita spesso. È stato molto bello perché Antonio Abbate, dopo aver sistemato il set, si prendeva sempre un tempo per parlare della scena con noi attori. Ed è quello che serve per affrontare nel migliore dei modi il personaggio e le scene giorno per giorno, anche perché si sa che il film non si gira cronologicamente così com’ è scritto, ma si adatta a tutta una serie di dinamiche che non è dato sapere, dalla location al tempo. Per cui magari ti ritrovi a girare prima la fine e poi l’inizio, ed anche le dinamiche emotive ovviamente cambiano, quindi avere il tempo per parlarsi e confrontarsi con gli altri attori e con il regista, capire quello che sta succedendo in quel momento, è importante ed in questo senso, tra l’altro, crescevano anche molto le dinamiche relazionali tra tutti noi. Il mio personaggio non nasce cattivo, è arrabbiato, non è più felice ed è sicuramente una vittima. Cerca di essere un personaggio risolto ma è vittima anche di se stesso e delle decisioni che prende, è vittima dell’obiettivo che deve raggiungere a tutti i costi per trovare quella felicità ma poi si rende conto che la situazione gli scappa di mano”

Fino ad ora siamo sempre stati abituati a vederti recitare su palcoscenici teatrali importanti, anche qui in Sicilia, dal Teatro Antico di Tindari al Vittorio Emanuele, e a dei ruoli in alcune fiction tv. Quali sono le differenze che hai riscontrato? 

“Le differenze tra teatro, tv e cinema sono sostanziali -spiega l’attore- Di preparazione, di lavoro e di performance. Io ho una formazione teatrale, il teatro per me è casa. In questo caso, come mi è successo per PHOBIA, per me è stato bellissimo riportare quelle dinamiche teatrali in un film, perché la preparazione e come ho affrontato il lavoro mi ha riportato un po’ al lavoro teatrale. Il passaggio, tra uno schema e l’altro è sempre interessante, ed un attore deve sapersi destreggiar e un po’ in tutti e tre gli ambienti: uno va più veloce, in un altro hai la presenza del pubblico, in un altro sai che quello che fai rimarrà e la tua performance deve essere al top.”

Sicuramente per te sarà stata una grande emozione ed una soddisfazione portare un prodotto del tuo lavoro nella città dove sei nato e cresciuto, e che hai lasciato formarti e dare vita alla tua passione. E questo è un bellissimo esempio. Cosa ti senti di dire a tutti quei ragazzi e ragazze che sognano di lavorare nel mondo della recitazione?

“Giovedì sera a fine proiezione, dopo il dibattito avvenuto in sala tra me Antonio Abbate ed il pubblico, si sono avvicinati due ragazzi molto molto giovani e ci hanno raccontato che uno di loro vuol fare il regista e l’altro l’attore -racconta Papalia- Io ricordo che quando ho iniziato il mio percorso e lo studio della recitazione, tutti coloro a cui chiedevo consigli mi ripetevano di pensarci bene e di trovarmi altro. Noi invece, io ed Antonio, l’altra sera, a questi due ragazzi, abbiano detto che è molto bello quello che hanno in mente, e che devono far crescere e vivere questa passione. Devono crederci. Devono dargli e metterci tutta l’energia possibile per arrivare dove vogliono che arrivi, con la consapevolezza che è un mestiere faticoso, che le soddisfazioni non sono così frequenti, in media sono più i no che i si. Ci si fa la corazza, però quando succede quello che è successo come per la presentazione di PHOBIA è meraviglioso. Tornare con il bagaglio formativo ed esperienziale, con tutti gli spettacoli, ruoli e lavori che ho fatto, è anche qualcosa di utile per la città e per chi ti viene a guardare. È un bell’orgoglio, ed è molto soddisfacente”

Avverti un cambiamento in città? Culturalmente parlano, dalla musica, allo spettacolo, negli ultimi anni, forse anche grazie alle nuove generazioni, che hanno voglia di ricrear e un fermento ed una scena artistica in città, qualcosa si sta muovendo per uscire da torpore in cui eravamo caduti. 

“È stato interessante che alla fine del film si sia generato un dibattito, perché è quello che deve generare l’arte -spiega- È in un certo senso il suo l’obiettivo: creare una discussione che ruota attorno ad un film, ad un concerto, ad uno spettacolo, ad un libro. Ed effettivamente trovo bello che Messina stia crescendo sotto questo punto di vista, che ci siano delle realtà che danno queste possibilità stimolanti, e credo che in tutto ciò abbiamo influito molto tutti quei messinesi che sono andati via per studiare o fare una prima esperienza lavorativa, e poi però sono tornati. Messina ha bisogno di gente che abbia voglia di creare e mantenere un buon fermento culturale. E sta succedendo con la musica. Spero che il Vittorio Emanuele prenderà le scelte giuste, e che tanti spazi della città vengano recuperati e riportati in vita” 

 

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