MESSINA. Titta ha 23 anni e abita a Vittoria, in provincia di Ragusa: appena qualche centinaio di km più a sud di Messina, dove qualche settimana fa, per la prima volta nella sua vita, è stato vittima di un episodio di omofobia, mentre si trovava su un bus in compagnia di un amico 14enne originario della provincia, che si sta avviando alla transizione. «Sono venuto qui circa venti giorni fa, per trovare degli amici», racconta, chiarendo meglio le dinamiche di quanto accaduto lo scorso 21 dicembre sull’autobus numero 14 diretto a Camaro e partito da Cavallotti intorno alle 14:10.

«Quando siamo saliti sul mezzo, un gruppo di ragazzi fra i 16 e i 20 anni ha iniziato a ridere. Poi ci hanno insultato, tirandoci anche delle carte addosso». La situazione peggiora quando sul bus sale un uomo sulla cinquantina, qualche fermata più in là. «Uscite fuori, vi devono ammazzare tutti, froci», sbraita, seguito in coro dagli adolescenti: «Bastardi, qui non ne vogliamo froci». Il tutto nella totale indifferenza degli altri passeggeri. Ad intervenire sono solo due ragazze, che prendono le difese di Titta e del suo amico e consigliano loro di andare via prima che la situazione peggiori.

«Mi sono sentito molto ferito ma ho reagito, replicando agli insulti», spiega il 23enne, che ci tiene a raccontare la vicenda in prima persona, “mettendoci la faccia”: «Bisogna combattere. Nel 2020 non possono accadere episodi di questo tipo. Non siamo malati o anormali e non c’è nulla di cui dobbiamo vergognarci. Spero che la mia decisione di espormi possa servire da esempio a tutti», commenta anche a nome del suo amico minorenne.

Quella accaduta sul bus non è purtroppo l’unica disavventura capitata a Titta nel corso della sua vacanza in riva allo Stretto: «Qualche giorno prima, passeggiando con gli amici, un ragazzo ha iniziato a urlami a più riprese “ricchione”. Io ho reagito: “Meglio ricchione che zallo”, ho replicato, e per per tutta risposta ho ricevuto uno spintone». A evitare che la situazione peggiorasse – spiega – è stato un ragazzo di un’altra comitiva, mentre le altre persone presenti, tutti coetanei, non hanno mosso un dito. «Io la testa non la abbasso», conclude, rivendicando il suo diritto ad essere e apparire senza essere discriminato, intimidito e umiliato. 

«La situazione, già incresciosa di per sé – commenta il presidente di Arcigay Rosario Duca – è ancora più grave perché avvenuta su dei mezzi pubblici, e questo non vuole essere in alcun modo un attacco all’Atm (che ha condannato il gesto, mostrando la propria disponibilità a fare la massima chiarezza sull’accaduto), di cui attendo di incontrare dei rappresentati per un confronto. Che immagine dà la città di sé? Questa storia, che per fortuna non è sfociata nella violenza fisica, ci insegna fra le altre cose quanto sia importante stare attenti alle parole, soprattutto se a pronunciarle sono rappresentanti delle istituzioni», conclude.

 

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