MESSINA.Ma vi rendete conto che la lingua siciliana il tempo futuro neanche lo prevede? Capite a che livello di pessimismo, di fatalismo è stata costretta questa terra?“. Nello Musumeci ha un tono quasi sempre pacato, quasi sempre tranquillo, anche sornione. Poi, ogni tanto, s’infervora. La voce gli si alza di un’ottava e 35 decibel, il tono diventa stentoreo.

Succede quando il candidato alla presidenza della Regione per il centrodestra parla di temi che gli stanno a cuore. Il suo passato, principalmente, che Musumeci vuole sia garanzia per il suo futuro. “Per me parla il mio lavoro da presidente della provincia di Catania: 930 miliardi di euro di progetti senza nemmeno un avviso di garanzia, la prima stazione appaltante d’Italia per anni consecutivamente, una seconda rielezione con l’80% di gradimento. Abbiamo lavorato in sinergia con un’amministrazione comunale di centrosinistra (quella di Enzo Bianco, ndr) e abbiamo dimostrato di saperlo fare bene, di sapere governare, di saper ottenere risultati, come l’apertura delle Ciminiere a catania“.

Questi i numeri che snocciola. Ma anche sui temi etici non si trattiene. “Se oggi si parla di liste pulite è grazie a me, io sono la garanzia di una svolta che deve avvenire, ma con la responsabilità di tutti“, spiega l’ex presidente della commissione regionale antimafia. Proprio sulle liste in queste ore si stanno concentrando gli attacchi a Musumeci. Che non le manda a dire. A Totò Cuffaro, per esempio, che nei giorni scorsi aveva rifilato una stoccata al candidato, sostenendo che le sue liste fossero imbottite di cuffariani: “Cuffaro ha detto che non sono il candidato giusto? Beh, ne sono contento, non mi dispiace che non sia mio amico“.

Su Gianfranco Miccichè (e sulle candidature scomode in Forza Italia), con il quale gioca in casa al cane e al gatto, Musumeci non spende nemmeno una parola: “Io non ho un partito, non ho un presidente e non ho un segretario, ho una coalizione. Su come si formano le liste non ho alcun potere decisionale“. ma qualche “suggerimento” sì. A Messina, quella più discussa è stata la candidatura di Luigi Genovese. “Se fossi stato presidente di quel partito avrei fatto altre scelte”, taglia corto, non prima di aver però puntualizzato che “il problema non è di rilevanza penale, perché la legge prevede già chiare condizioni di incandidabilità e ineleggibilità. Semmai è etico…“, conclude, con le orecchie degli alleati che fischiano. “Ma davvero credete che un uomo con la mia storia si faccia tirare dalla giacchetta? Un uomo che ha due figli disoccupati, dopo tutti questi anni di politica?”, conclude, rassicurando chi Musumeci lo voterebbe ad occhi chiusi, ma storce il naso davanti alle alleanze ed alla coalizione che il centrodestra ha raggruppato.

Poi l’argomento caldo messinese, il ponte sullo Stretto, opera alla quale anche il candidato del centrosinistra Fabrizio Micari si è detto favorevole: “Non sono, e non sono mai stato, uomo da “mai ponte” o da “ponte ad ogni costo”, così, per ideologia. E’ un argomento al quale bisogna accostarsi con serietà. Io penso che sia indispensabile dal punto di vista trasportistico, ma che non farà mai venire meno il concetto di insularità che prima che ingegneristico, per la Sicilia è “spirituale“.

Infine i tre punti cardine del programma: “Imprese giovanili: impresa vuol dire innovazione, giovani vuol dire futuro. E invece fino ad oggi si è creata occupazione senza lavoro, drenando denaro pubblico. Poi una riforma radicale della Pubblica amministrazione che deve diventare agile e snella, e deve premiare innanzitutto il merito. Quindi esaltare il ruolo della Sicilia nel Mediterraneo e nel mondo, perchè possa diventare catalizzatore di investimenti e capitali esteri“.

Convivono, in Nello Musumeci, due realtà temporali diverse: il passato, ed i risultati ottenuti nel suo ruolo da amministratore, quando è stato chiamato a farlo (risultati che nemmeno i suoi avversari mettono mai in discussione), ed il futuro, l’ambizione di fare diventare bellissima la Sicilia, la celebre frase di Paolo Borsellino che ha dato il nome al suo movimento.  “Non servono rivoluzioni. Alla Sicilia serve la normalità, quella che per settant’anni ci è stata negata, quella che l’ha trasformata in una terra di mafiosi e di parassiti. Ecco quello che serve”.

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