“Nello strappare e incollare c’è una forte responsabilità”: questa frase pronunciata da Demetrio Di Grado, artista siciliano, classe ’76, nato a Palermo, ad oggi residente a Caltagirone dove porta avanti la sua ricerca artistica legata al collage analogico e alla poster art, rimanda a delle suggestioni che portano una carezza alla città di Messina. Non deve essere stato facile, e continua sicuramente a non esserlo, per la città della Falce tenere ben salda la propria identità tra terremoti, maremoti, alluvioni, abusi edilizi e l’aleggiare dell’ombra di un ecomostro come il ponte sullo Stretto. Non sempre alla distruzione corrisponde una degna ricostruzione, ma l’importante è provare a sanare nel modo migliore possibile certe ferite.

Demetrio è il pioniere dello street collage in Sicilia: nelle sue opere ritagli di carta e frammenti di vecchie riviste prendono nuove forme e sposano parole dai messaggi importanti, al centro ci sono i volti di uomini, donne e bambini che parlano con gli occhi in maniera precisa e puntuale, a volte ironica e provocatoria. Sono messaggi che smuovono coscienze intorpidite, che coccolano luoghi abbandonati, che regalano sorrisi ai sognatori che casualmente passano accanto a quel muro, che auspicano speranza e resistenza. Sono frasi che racchiudono il dono dell’analisi concreta ed empatica che Demetrio è capace di fare nei riguardi dell’essere umano e della società in cui ci troviamo. Così le sue opere, sparse per tutta la Sicilia, sono arrivate anche in riva allo Stretto, da Giampilieri dove è stato ospite, quest’estate, in occasione dell’Accusi – Festival per gli Occhi fino a Capo Peloro dove ha tenuto un workshop in occasione della VII edizione del Festival degli Aquiloni. Un totale, quindi, di nove opere tra i vicoli del borgo di Torre Faro, due delle quali realizzate già nell’estate 2024, e due nel paesino della zona sud, di cui una, “Riparato”, in via Chiesa e l’altra, “Carezza Testarda”, ancora da collocare. Il 29 novembre, per chi si dovesse trovare di passaggio o per chi ha voglia di organizzare un weekend fuori, a Palermo verrà inaugurata la sua mostra “Nessuno ci ha protetti” che potrà essere visitata fino al 15 gennaio 2026.

Quando e come è scattata la scintilla con il mondo dell’arte?
“Credo che non ci sia stato un momento preciso, l’arte è arrivata come una forma di salvezza, una necessità di tradurre in immagini ciò che non riuscivo a dire più con le parole, come quando scrivevo testi rap nel 1994, durante il primo fermento dell’Hip Hop in Italia.”
Com’ è iniziato il tuo progetto artistico e su cosa è incentrato?
“È nato in modo spontaneo, in silenzio, tra forbici, carta e colla. Con il tempo è diventato un linguaggio personale e attraverso i miei codici indago sull’identità, la fragilità umana, la responsabilità sociale e ciò che resta dopo le cose.”

La tua è una tecnica molto particolare, ce la racconti?
“Lavoro esclusivamente con il collage analogico: carta usata nel tempo, riviste che hanno avuto il loro vissuto storico, colla, forbici, incastri. Niente digitale se non per alcuni progetti che necessitano di una post produzione. Mi piace il gesto, l’imperfezione che rende unico ogni frammento. La figura umana è sempre al centro e diventa protagonista della scena.”

Come funziona la ricerca dei ritagli delle immagini? Hai delle riviste preferite? Sei tu che sai già che immagini cercare o sono le immagini che cercano te?
“Quando sono in studio è un incontro casuale, mai programmato. Le immagini mi trovano quando sfoglio, mi lascio guidare dall’istinto e dalla loro forza. Uso vecchie riviste, dagli anni ’30 ai ’60, perché custodiscono un’epoca che non esiste più ma riesco ad attualizzarla al presente. Quando trovo immagini iconiche, inserisco messaggi in cui tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo ritrovati.”

Qual è la tematica principale delle tue opere?
“Racconto l’essere umano, le sue contraddizioni, dalla responsabilità all’irresponsabilità del genere, il senso di colpa, la memoria, l’incapacità di ricordare, ma anche la possibilità di ricominciare dalla fine. Ogni collage nasce con un gesto di consapevolezza per una piccola riflessione collettiva.”
Perché le scritte sugli occhi?
“Gli occhi sono la parte più vulnerabile e più sincera. Coprirli con parole è come negare la visione, ma allo stesso tempo renderla più universale. La frase diventa lo sguardo. In periodi in cui lo sguardo veniva censurato, il mio messaggio voleva andare oltre, cosi come in molti, negli anni lo hanno definito una firma: occhi che parlano.”

Come avviene la geolocalizzazione delle tue opere?
“Dipende dagli eventi, dalle situazioni, a volte scelgo il luogo prima, altre volte nasce tutto per caso. Mi spinge l’urgenza del momento, nell’essere puntuale e non convenzionale.”
Ricordi la prima volta che sei stato a Messina? cosa hai pensato?
“E chi se lo scorda il 2018 in provincia: Lipari! dove tutto è iniziato, grazie anche al progetto #PORTEDARTISTA, curato da Michele Bellamy Postiglione, una visione che esplorava i luoghi e i personaggi che hanno fatto la storia dell’isola. Messina centro mai stato.”
In città hai avuto modo di lasciare delle tue opere sia nella zona di Capo Peloro che di Giampilieri. Ce le racconti brevissimamente?
“A Capo Peloro ho voluto enfatizzare il confine e il passaggio, quel punto in cui tutto inizia e tutto finisce, installando dei collage che hanno rappresentato negli anni la mia ricerca stilistica e un site specific per la settima edizione del Festival degli Aquiloni. A Giampilieri, invece, ho realizzato un intervento dedicato alla rinascita e alla comunità che ha saputo trasformare una ferita in forza. In questo 2025 la provincia di Messina mi ha adottato artisticamente, da Brolo ad Acquedolci e da Barcellona Pozzo di Gotto al ritorno su Lipari.”
In un periodo storico, sociale e politico, come quello che stiamo attraversando la street art può essere ancora considerata una forma di denuncia e uno “strumento” di condivisione e sensibilizzazione?
”Sì, se rimane autentica. Quando nasce da un bisogno di dire qualcosa, resta una forma potente di denuncia. I social l’hanno resa più visibile ma anche più superficiale sotto certi aspetti. Serve ricordare che gli interventi murali non sono un accessorio e che la strada non è una vetrina, ma un luogo di confronto.”

La Sicilia nel tuo progetto artistico ti ha più aiutato o ostacolato?
“La Sicilia è una terra complessa: ti mette alla prova, o resti o scappi, ti insegna la pazienza e la profondità. Ma ci sono molti luoghi ancora da esplorare e quando li scopri e ti confronti con gli abitanti del posto, ti restituisce verità e radici che altrove non sempre trovi.”
C’è collaborazione tra gli artisti del territorio siciliano? Riuscite ad avere gli spazi adatti per esprimervi?
“A volte…esiste una rete sincera di rispetto e scambio. Gli spazi non mancano, dipende dalle commissioni e ognuno di noi li firma con la sua estetica. Con artisti come NessunNettuno e Sposarioltre una profonda amicizia c’è una visione comune. Nuovi progetti collettivi sarebbero naturali, quasi inevitabili. In passato abbiamo legato il nostro stile in uniche piccole opere murali. In futuro chissà…che non ci vedrà coinvolti in progetti di più ampio respiro.”
Qual è il tuo P.S.? (Post Scriptum)
”NESSUNO CI HA PROTETTI, non è uno slogan ma il titolo della mia prossima mostra personale in Galleria a Palermo da Veniero project curata da Francesco Piazza, e dalle sue parole: “ogni collage è il risultato di un lungo attraversamento interiore che bilancia rigore, gesto misurato e materia ribelle, vulnerabile e apparentemente precaria… Nessuno ci ha protetti è una sentenza pronunciata in silenzio, la constatazione che nessuno – né la storia, né gli dei, né le istituzioni – hanno saputo difendere l’uomo dal proprio naufragio”.







