MESSINA. Qualche giorno dopo il voto in aula sul Salva Messina che ha sancito la fine della società di trasporti, il laboratorio di partecipazione civica “MessinAccomuna”, di cui fa parte anche l’ex primo cittadino Renato Accorinti, interviene a gamba tesa contro la Giunta De Luca e contro il consiglio comunale, reo di essersi farlo abbindolare da “motivazioni infondate”, a partire dal Durc. Poi il quesito: «A cosa servono i quasi 50 milioni di troppo messi nel piano di riequilibrio? Lo spieghino alla città e ai cittadini».

«La delibera sulla liquidazione ATM – si legge in una nota – è stata assunta al buio ed è incoerente con quanto deliberato nel piano di riequilibrio (che riporta comunque per ATM 50 milioni di troppo, a danno dei messinesi). De Luca voleva liquidare ATM per costituire una nuova società (una smania, la sua: doveva chiuderle tutte e ne ha fondato quattro di nuove, con tanto di cda, revisori, posti di sottogoverno); il Consiglio si è fatto abbindolare dando ascolto a ragioni irrilevanti (negatività del DURC) o contraddittorie con la proposta stessa (divieto di “soccorso finanziario”), approvando una delibera che non prevede una copertura di bilancio all’operazione. La liquidazione avrebbe un costo (evitabile) non quantificatonell’atto e nel frattempo il dirigente ha proceduto a corrispondere 5 milioni, con cui sostenere l’unica operazione sulla quale attivarsi: la “rottamazione delle cartelle” già avviata a maggio dello scorso anno»

«Per l’ATM – si legge ancora – non c’è obbligo di legge alla liquidazione (è azienda speciale, non può fallire e non è soggetta al diritto fallimentare, ma al solo testo unico degli enti locali). La liquidazione è dunque una scelta politica, che non era condivisa da molte forze presenti in Consiglio e che è stata forzosamente ottenuta con motivazioni infondate. Introducendo il dibattito il Sindaco ha dichiarato che questa delibera era inevitabile per due ragioni: il “divieto di soccorso finanziario” sancito dalla “legge Madia” e la negatività del DURC dell’azienda. Nessuna di queste ragioni necessita la liquidazione dell’azienda. Anzi. Tralasciando il fatto che la legge Madia riguarda le società e non le aziende speciali, per la Corte dei Conti il “divieto di soccorso finanziario” non consente di dare contributi per la liquidazione aziendale se non si tratta di somme dovute per servizi resi dall’azienda a beneficio del Comune; il “soccorso” è invece ammissibile solo nella prospettiva della continuità dell’azienda, in presenza di effettive prospettive per il recupero del suo equilibrio economico».

«La strada tracciata nel precedente piano di riequilibrio – prosegue il comunicato – è quella corretta: riconoscere le perdite nel limite del capitale negativo per consentire di pagare i debiti nell’ambito di un piano di rilancio del servizio e di ricostituzione dell’equilibrio aziendale. Il DURC negativo, poi, è irrilevante sulla scelta di liquidare l’azienda: se tutte le imprese con DURC irregolare dovessero essere sciolte, chiuderebbe mezza Italia! Piuttosto, occorre che l’amministrazione metta in grado l’azienda di ottemperare la scadenza del 7 dicembre per non perdere il beneficio della “rottamazione-ter”, integrando i 5 milioni che lo stesso venerdì 23 venivano già liquidati per i rimborsi chilometrici. La liquidazione è inutile e avrebbe un costo (almeno 2 milioni per commissari e revisori in 15 anni), di cui non c’è traccia nell’atto; la delibera poi non dà copertura finanziaria in bilancio, perché rinvia al piano di riequilibrio».

«E che dire poi del piano di riequilibrio? Per un’azienda da liquidare sono stati messi sul groppone dei messinesi 81 milioni. Avevamo già suggerito ai Consiglieri di fare attenzione a queste cifre, perché gli importi dovuti sono da limitare, come da parere dei revisori dei conti, al valore negativo netto del capitale (32,5 milioni al 31 dicembre 2013) anche nella prospettiva della continuità aziendale. Oggi De Luca vuol mandare in liquidazione ATM. Ma allora come fa a mettere nel piano di riequilibrio ben 81 milioni quando per pagare i debiti ne bastano 29, secondo quanto riportato nella stessa delibera di messa in liquidazione? Eppure ci risulta che a Taormina il Comune abbia riconosciuto all’azienda speciale trasporti per la sua liquidazione solamente i debiti non coperti dai crediti, facendo assorbire le perdite pregresse eccedenti dalle risorse aziendali. Esattamente ciò che (in linea con la legge e con l’esplicita benedizione dei revisori dei conti del Comune) era stato deliberato dal precedente piano di riequilibrio. A cosa servono i quasi 50 milioni di troppo messi nel piano di riequilibrio? Il costo per i messinesi è di circa 3,3 milioni l’anno in termini di maggiori tasse o di minori servizi. Lo spieghino, Sindaco e Consiglieri, alla città e ai cittadini», conclude il testo.

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