MESSINA. No, non è carnevale, quando sulle tavole messinesi è tutto un florilegio di pignolata, né primavera, quando fioriscono i mandorli, né il 2 novembre, quando i morticini portano la frutta martorana. È la fine di agosto. Quando chi viene a villeggiare a Messina porta con sé un pezzo di città. Forse quella migliore, inequivocabilmente al top. I dolci.

Montagne di glassa sul pasta fritta, bianca e nera, frutti di zucchero talmente dolci che cariano i denti in tempo reale, piparelle, nzuddi, paste di mandorla e pistacchio. Pezzi di Messina che chi va via porta con sé. È un momento d’oro per le pasticcerie: finita la stagione delle ferie, i messinesi rientrati alla base per qualche settimana tornano nelle città in cui vivono e fanno incetta di bontà locali. “Più che per sé, li portano ai colleghi ed agli amici”, spiegano dal bar Arrigo di viale Regina Elena.

 

 

È il tipico bar di quartiere, che ha allevato generazioni e generazioni di messinesi a gelati e granite, e oggi soddisfa la voglia che hanno i messinesi espatriati di prolungare ancora un po’, olfattivamente e col gusto, se non fisicamente, la permanenza in riva allo Stretto. “Ma non solo messinesi – specificano – ci sono anche i ‘forestieri’, che per i dolci siciliani vanno matti”. Quali? Non i cannoli, contrariamente a quanto si possa pensare, dato che, a prescindere dalla qualità, ormai non è difficile trovarli in qualsiasi altra parte d’Italia. “Apprezzano soprattutto nzuddi, piparelle, fior di mandorla, poi pignolata e frutta martorana. Mai meno di un kg…”, sottolineano con orgoglio malcelato, mentre sul bancone si allineano i pacchetti che qualcuno, con la macchina carica di bagagli, farà un salto a prendere prima di imbarcarsi per “il continente”.

C’è una parte di Messina che non si può non rimpiangere. Quella che non ha niente a che vedere con la spazzatura, le doppie file, il lavoro che manca, l’acqua che arriva cinque ore al giorno e le baracche, le colpe del sindaco e quelle del consiglio. È la Messina dalla quale si scappa, ma che ha sempre in serbo un ricordo dolce, a volte troppo. Di quelli da portare via, e fare assaggiare a chi non la conosce. Un cuore dolce che apprezza solo chi lo assaggia una volta all’anno.

 

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