MESSINA. Si è tenuta nel primo pomeriggio di lunedì, 28 ottobre, nell’ Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina la tappa messinese del “Masterclass Tour – L’ Otello di Leo tra amore, morte e gelosia” del regista, sceneggiatore e attore romano Edoardo Leo che, dal 18 al 30 ottobre 2024, è in giro tra i più prestigiosi atenei italiani per analizzare e dare vita a un confronto, con gli studenti presenti, circa i temi che emergono dal suo ultimo lavoro.

Non sono quello che sono”, in uscita in sala dal prossimo 14 novembre è il nuovo film di Edoardo Leo, che lo vede impegnato sia alla regia che nel cast, ma che in primis lo ha visto alle prese con la rilettura, traduzione, e sovrapposizione, avendola ambientata nei primi anni 2000, della tragedia dell’Otello di W. Shakespeare. Un progetto rivolto ai giovani ai quali trasmettere, attraverso l’analisi e la rilettura cinematografica di un grande classico in chiave moderna, un nuovo approccio a un bagaglio valoriale fondato sul rispetto per la persona. Un indagine sull’odio che ruota principalmente attorno alla violenza di genere, toccando tematiche come la gelosia, il maschilismo, l’anaffettività, e il razzismo, e che porta anche ad analizzare un altro aspetto importate come quello delle parole e del linguaggio, raccontando e spiegando le motivazioni sulla scelta di tradurre il testo originale in dialetto romano e napoletano, e la relazione tra testo letterario ed indagine sociologica. Otello, Iago, Desdemona sono purtroppo ancora tra noi, sono personaggi reali ed attualissimi, ed è proprio così che la cronaca di oggi rimanda a un grande classico, fino a tal punto che l’Otello non ha bisogno di essere rielaborato ma semplicemente di essere riletto esattamente per com’ è stato scritto, con la sola forza del dialetto che riporta al presente una storia senza tempo in cui il bene ed il male si mescolano in un vortice di tradimenti, inganni, gelosia folle e violenza.

Ad accogliere e introdurre l’artista capitolino, in presenza anche del Sindaco Federico Basile, è stata la Rettrice Giovanna Spatari, che ha sottolineato come l’ateneo messinese sia da sempre molto attento e sensibile alle tematiche trattate e come, nello specifico, attraverso eventi del genere si spera di poter stimolare i giovani al raggiungimento di un cambiamento culturale significativo in grado di contrastare e sradicare la violenza di genere dalla vita quotidiana e, dunque, dalle pagine di cronaca. “Qui in aula c’ è la sedia di Posto Occupato – ha precisato la Professoressa Spatari – simbolo della campagna di sensibilizzazione sociale, virale e gratuita contro la violenza sulle donne a cui la nostra Università ha aderito da tempo”. Durante il talk moderato dalla giornalista della Gazzetta del Sud Natalia La Rosa e dal professore Fabio Rossi, ordinario di linguistica italiana dell’ ateneo messinese, sono stati trasmessi sia il trailer che alcuni spezzoni di “Non sono quello che sono”, e l’ artista romano ha spiegato passo per passo la genesi della sua ultima pellicola, le motivazioni che l’ hanno portato a raccontare il contemporaneo tramite un grande classico, l’ analisi dei personaggi protagonisti e la figura di Iago, da lui interpretato, che costituisce il cattivo del teatro per eccellenza, ed ancora la scelta del dialetto e dei non luoghi che ricordano quasi una scenografia teatrale, soffermandosi sul concetto del patriarcato radicato e del fenomeno della violenza di genere, della violenza domestica, delle relazioni tossiche e dei femminicidi. “Ho iniziato questo tour dall’ Università La Sapienza di Roma nove giorni fa, e da là ad oggi sono morte altre quattro donne – argomenta Edoardo Leo – è un tema che ci riguarda profondamente come società, non possiamo fare più finta che siano solo notizie di cronaca, è una strage quotidiana che avviene sotto i nostri occhi ed ognuno deve fare la sua parte, io faccio l’ artista e quindi ho pensato di immergere questa storia dentro la nostra contemporaneità, ed ho scelto un classico come l’ Otello perché sa rileggere il presente. Se un testo scritto 420 anni fa continua a raccontarci in maniera chirurgica quel è la dinamica che porta un uomo innamorato a cadere nel vortice tossico di quel tipo di gelosia dalla quale non c’è ritorno e che trascende dall’ amore, che ovviamente è totalmente un’altra cosa, se un testo di 420 anni fa ci racconta oggi come siamo, allora ci dobbiamo fare delle domande, perché vuol dire che in questi 420 anni in quel rapporto patriarcale, maschilista e di possesso dell’ uomo nei confronti della donna non è cambiato niente. E sento tantissimo il bisogno di parlare agli uomini, ai maschi, perché se i maschi non capiscono di essere parte del problema, se non ne parlano, se non se lo dicono tra di loro non cambierà mai niente”. Così dopo aver risposto alle domande degli studenti, l’attore e regista romano, prima dei saluti, regala alla platea un monologo partendo da alcuni estratti del testo de “Lo Stupro” di Franca Rame, analizzando il perché spesso per una donna risulti difficile denunciare la violenza o l’abuso subito, leggendo un sondaggio Istat del 2020 che dimostra come in realtà negli anni le cose a riguardo siano cambiate di poco,  dato che ancora il 40% degli italiani pensa che se una donna lo vuole davvero è in grado di sottrarsi ad un rapporto non consensuale, e ricordando come nella storia del nostro Paese sia esistiti concetti come quello del matrimonio riparatore e del delitto d’ onore. “Bisogna aspettare il 1996 – conclude l’artista romano – affinché la legge riconosca lo stupro come reato contro la persona, questo è il Paese in cui siamo cresciuti e che dobbiamo cambiare, e questo è il motivo per cui ho deciso di fare questo film”. 

Corsi e ricorsi storici: perché hai scelto l’Otello? 

“Tempo fa rimasi molto colpito della storia di un uomo che aveva ammazzato la moglie e poi si è suicidato, e li per lì ho pensato che questa era la sinossi in breve dell’ Otello, e da qui sono partito per un lungo viaggio che ho fatto in tutte le sue traduzioni italiane a partire da quelle di metà Ottocento in poi,  ho iniziato a studiare tutti i modi in cui era stato tradotto e ho notato che ogni traduzione era profondamente figlia dell’ epoca che aveva prodotto quella traduzione stessa. Basti pensare all’ epoca del 1604, quando è stato scritto l’Otello che è, appunto, la storia di un uomo che ammazza una donna e si chiama la tragedia di Otello: tutto ciò è molto indicativo, perché è espressione del fatto che si portava un’enorme compassione per l’uomo che era stato vittima del troppo amore. E questa roba permeava in tante altre traduzioni ed allora ho iniziato a pensare a come potevo portare l’Otello ad una dimensione contemporanea e pian piano che ci lavoravo sentivo e leggevo di come la piaga dei femminicidi aumentava ed aumentava. Più andavo avanti più mi rendevo conto di come il presente non solo fosse raccontato da un grande classico, ma di come evidentemente la nostra società ancora così intrinseca di patriarcato e maschilismo non abbia fatto minimamente dei passi avanti col passare del tempo e con il passare delle generazioni, e questo è un argomento drammatico di per sé.” 

Al di là delle notizie tremende di cronaca a cui il nostro paese reagisce con fiaccolate ed iniziative di sensibilizzazione, nel quotidiano avvengono tanti casi di violenza che non arrivano all’ estremo del femminicidio, ma non per questo meno gravi, che passano ancora quasi inosservati come se fossero solo a carico chi li subisce e non dell’intera comunità. Forse un passo importante è rendersi sul serio conto che la violenza di genere va combattuta dalla collettività e non deve restare una lotta individuale?

“E’ un’osservazione molto intelligente, quello che sta accadendo in questi giorni durante gli incontri nelle Università è che spesso si alzano delle ragazze e ci confessano di aver subito un’aggressione più o meno grave, o comunque si aver subito violenze. Anche se oggi ci incontriamo in un’aula magna stiamo facendo teatro, e il teatro è il luogo dove una comunità si incontra e si scontra su questi temi. I film non servono tanto a dare risposte ma a farsi domande si, e quindi proprio come comunità di dobbiamo interrogare sul com’è possibile che dopo tutti questi anni una storia come l’Otello ci rappresenti in pieno. E questo ci deve portare ad ulteriori domande soprattutto sul ruolo del maschile sul femminile: io non mi metto in cattedra o ho la pretesa di insegare niente a nessuno, però di alzare il livello del dibattito quello sì. Purtroppo sembra che se una cosa non succede in prima persona allora non sia mai successa, o se una cosa viene fatta all’ altro o non a te allora non è un problema tuo, e le testimoniane, in questo caso, di chi subisce violenze contano tanto ma allo stesso modo conta la sensibilità di tutti, non è un discorso di singole persone ma dobbiamo prenderci una responsabilità collettiva. In questo caso la mia sensibilità, ma anche quella di altri artisti, si traduce nel prendere storie che stanno nel nostro immaginario collettivo reale e riportarle, sullo schermo o sul palco, in mezzo alle persone per farle arrivare il più possibile e far scattare qualcosa.” 

Soprattutto per quanto riguarda le fasce d’ età più giovani, credi che sentire parlare quelli che possono essere i loro idoli, come appunto un attore o un personaggio famoso, di tematiche e problematiche forti come violenza di genere, maschilismo, razzismo e tanto altro, possa avere su di loro un imprinting maggiore? 

“Diventa molto difficile attribuire agli artisti tanta responsabilità, però il fatto che gli artisti abbiamo delle antenne e riescano a captare di prima di altri certe problematiche quello sì. Sono molto felice di mettere a disposizione quel poco che ho imparato da questo grande classico che è l’Otello a disposizione di tutti, non ho la pretesa sa solo di indicare una via, per quello ci sono anche psicologi, terapeuti, e c’ è chi legifera, e tanti altri che contribuiscono con il loro ruolo professionale, noi artisti dobbiamo fare la nostra parte nel presentare quello che può essere un progetto che possa avere un impatto emotivo sulle persone. Non credo molto in quelli che si siedono in cattedra e cercano di insegnarti la vita, credo che nel proporre le cose ci possa essere una specie di insegnamento involontario che stimola in primis l’attenzione e scuote la sensibilità.”

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