Foto di Francesco Algeri

MESSINA. Gli anni non sembrano mai passare per Andrea Appino che, nella serata di giovedì 28 marzo 2024, post concerto, sul terrazzino del Retronouveau, chiacchierando con amici e fan, ha raccontato che è proprio vero che la vita inizia a 40 anni. Anche se solo adesso, a meno cinque dai 50, ha capito che per lui probabilmente è iniziata già a 16 anni.

Il suo “Humanaize Tour 2024” è sbarcato in Sicilia, in forma un po’ semplificata, e dunque meno teatrale. Perché, si sa, è ancora sempre troppo complicato e troppo costoso far arrivare certe produzioni fin qui. La sua prima tappa non poteva altro che essere il live club messinese, che l’ha ospitato più volte, ed a cui è particolarmente affezionato. A seguire toccherà ai Candelai di Palermo e alla Nuova Dogana di Catania. Con lui non i soliti compagni d’ avventura ma una nuova formazione, con Matteo D’ Ignazi alla batteria, Davide Barbafiera a moog e campionamenti, Valerio Fantozzi al basso, e Fabrizio “Thegeometra” Pagani.

Questo perché “Humanize” è il terzo disco da solista dell’artista, da sempre penna, voce e chitarra dei The Zen Circus, che però a volte ama uscire dalla sua comfort zone lavorando da solo e spingendosi dove forse non avrebbe mai immaginato, realizzando un progetto come quello di un concept album, che teneva da anni in cantiere. Ci sono voluti 8 anni per dare alla luce “Humanize”, 8 anni in cui in primis più che un album, il risultato doveva essere un audio-racconto. Una raccolta di “comizi d’umanità” in cui l’artista ha raccolto la voce della gente, attraverso delle interviste in giro per l’Italia, tra strade, scuole, ospedali, cliniche psichiatriche, case famiglia e tante altre realtà, proprio per indagare sempre più a fondo tra le mille sfaccettature dell’umanità e dell’essere umano.

Solo dopo sono nate le 14 canzoni, da alternare ai 9 intramezzi parlati, per un totale di 23 tracce. Canzoni nate proprio perché ispirate dalle parole e dalle esperienze raccontante da tutte quelle persone, di qualsiasi età e genere, che Andrea Appino ha incontrato durante questo suo percorso. Un viaggio nell’ essere umano, con la sua bellezza ed i suoi dolori, con il bello ed il brutto, il buono ed il cattivo, alle prese con la continua altalena della vita, tra sogni e cruda realtà. Appino sale sul palco del live club di via Croce Rossa, ha le sue chitarre, le riconosci, e lo riconosci, la sua voce è quella di sempre, precisa, potente, graffiante ma anche di una dolcezza unica nel suo genere.

La prima parte del live scorre in maniera velocissima e solenne, canzone dopo canzone, senza fermarsi mai. E ci si accorge che ci sono tutte le skill che lo rendono l’album ed il live della maturità. Non puoi fare altro che tenere lo sguardo fisso su di lui e le orecchie ben aperte, ma senti che dentro qualcosa si muove, ed allora capisci di essere nel posto giusto al momento giusto.

“Del nostro avvenire”, “Metti questa al mio funerale” e “Carnevale”, tra le prime eseguite, non a caso tre canzoni bellissime che già da sole avrebbero reso questo disco uno dei migliori di questi ultimi anni. Poi tocca ad “Enduro”, l’atmosfera si riscalda e si trasforma in un perfetto caos, espressione di una follia minimalista, con un attacco all’ uomo medio, concreto e preciso. Il respiro più duro e satirico della serata. E qui viene fuori la parte di Andrea Appino più nota e cara ai suoi fan, quella che ti fa capire che, fortunatamente, non cambierà mai: il suo essere un animale da palco, un grande performer, ironico e sensibile.

Così arriva il momento di parlare, e di salutare il pubblico “stasera parlerò poco – esordisce Appino – in un periodo in cui parlano tutti troppo, preferisco far parlare queste canzoncine qua”. Si va avanti con la scaletta, canzoni e “comizi d’ umanità”, ma appena arriva il momento di “Ora” si percepisce, in una sala gremita, l’incantesimo di un abbraccio avvolgente e delicato, e di cui nessuno può farne a meno, anche se probabilmente nessuno sapeva neanche di averne di bisogno.

Due i pezzi dei vecchi album da solista che l’artista ci regala, “La festa della liberazione” e “Il Testamento” con cui chiude una straordinaria serata, fatta non solo di tanta buona musica di qualità, di libertà espressiva e di talento, regalandoci uno spettacolo che parla di persone, di vita, di morte, ma anche di soldi, lavoro e guerra, attraverso canzoni, parole e riflessioni in presa diretta.

A fine live ci si sente come una cartina tornasole, e non solo per i temi assorbiti, che tutti noi custodiamo nei vari scompartimenti della nostra anima e mente, tra fantasmi, gioie, dolori ed insicurezze con cui conviviamo, ma per le sonorità ascoltate. Praticamente quasi tutti quelle esistenti sulla faccia della terra: suoni che provengono dall’ underground anni ’90, echi del cantautorato, omaggi alle colonne sonore portanti degli anni ’80, l’ immancabile indie-rock, che live risalta molto più che all’ ascolto in cuffia, fino al pop ed alla tanto bistrattata trap urbana, che maneggiata da un musicista capace come Andrea Appino risulta interessante, credibile e di assoluta riuscita.

A fine spettacolo, si va via con tante domande, ripercorrendo frame della vita passata, interrogandosi sul presente e sul futuro, sviscerando i propri esseri umani e riflettendo sulla propria di umanità, ed una sola grande certezza: su quel palco è salito, ancora una volta, il più umano di tutti.

Humanaize è un progetto ambizioso e molto particolare, una perla rara per il periodo storico in cui ci troviamo. Come e perché nasce?

“Nasce al contrario di come tanti pensano, dato che molto spesso mi viene chiesto come mai mi è venuto in mente di mettere le voci tra una canzone e l’altra. In realtà è proprio il contrario: Humanize nasce come podcast, dato che esattamente nove anni fa voleva essere un audio-documentario a tutti gli effetti.

C’era questa idea di fare, sulla falsa riga dei Comizi d’ Amore di Pasolini, una serie di interviste andando in giro, mantenendo sullo sfondo l’essere umano, e capire cosa significhi l’esistenza per l’essere umano. Solo dopo ho cominciato a pensare che ci sarebbe stato bene un commento sonoro. Ed a quel punto ho cominciato a scrivere canzoni. Uno dei risultati delle interviste, e di tutti quei giri di domande e riflessioni, è stato proprio quello di portarmi a scrivere le canzoni contenute nel disco.

Quindi è un progetto un po’ strano per me. Non sono abituato a fare questo, ma lavorando da solo mi piaceva l’idea di fare quello che non sta nella mia comfort zone. La mia comfort zone è quella con gli Zen, o più semplicemente quella di usare me stesso come tramite, quindi far canzoni con le mie storie e la mia urgenza espressiva. Adesso invece mi sono messo da parte ed ho cercato il più possibile di far parlare gli altri. Questa parte del tour al Sud, purtroppo, è un po’ semplificata. Non abbiamo le luci al seguito. È più vicino al teatro che alla musica, e chi lo sa che non lo diventi sempre di più.”

Oltre che ad un audio-racconto che porta inevitabilmente a riflettere e a porsi mille domande sulla condizione dell’essere umano, in “Humanaize” si può cogliere anche un invito all’ascolto, ascoltare se stessi, ascoltare gli altri, ma soprattutto ascoltare la musica dedicandole il giusto spazio?

“Questo è un pensiero che ho fatto dopo. Sono anche un grande fan della musica semplice. Non credo che la musica vada sempre e per forza complicata, tant’ è che vengo da una band molto semplice. Però credo anche che ci debba essere tutto, e a volte davanti a tanta semplificazione sento l’esigenza e la necessità di essere un po’ più complicato. Volevo fare un concept album da una vita, in realtà. Mi sono sempre detto che non l’avrei mai fatto, poi però mi sono accorto che lo stavo facendo sul serio e mi ci sono buttato.”

All’interno di Humanaize si riscontrano stili musicali e sonorità molto diverse tra loro. È in un certo senso una metafora sull’umanità?

“Esattamente, l’umanità è una radio. Il suono dell’umanità non è un suono omogeneo, è un casino totale. È come entrare in una di quelle macchine vecchie che hanno ancora la radio con la manopolina. Si passa dal rumore statico, alla voce di un’intervista, alla musica classica, ad m2O e così via. Quindi, pur mantenendo le mie sonorità rock, le chitarre, ho cercato di allontanarmi ed esplorare. Così il mio lavoro è diventato una ricerca sul suono che volevo dare all’umanità. Per cui ho mescolato le carte, stili e sonorità diverse, perché l’umanità non ha un suono solo. Tra l’altro ho usato degli aggeggi analogici, un po’ una nerdata, che sporcassero il tutto e non lo rendessero mai perfetto. Quindi è tutto sporcato proprio perché non credevo e non credo che noi potessimo essere altrimenti.”

Tra le varie interviste e chiacchierate che hai raccolto per arrivare a confezionare i “comizi d’umanità”, gli intramezzi parlati, c’è qualche episodio o qualche racconto che ti ha colpito particolarmente?

“Moltissimi, non uno solo. Diciamo che ad un certo punto ho deciso di andare in luoghi dove la vita è un po’ deragliata. Non mi bastava più fermare la gente per strada. Dovevo andare in luoghi dove la vita è diversa, siamo andati in Ospedali, cliniche di fine vita, case famiglia, cliniche psichiatriche, scuole ed RSA. E probabilmente le storie che più mi hanno toccato, intrigato, commosso ed affascinato, sono quelle raccolte nelle cliniche psichiatriche.

La cosa più assurda però è che le risposte date dai bambini piccoli, delle elementari, e da chi era nella clinica psichiatrica e da chi stava nelle RSA, si somigliavano tra loro. Come se ci fosse in qualche modo uno scollegamento della sovrastruttura della società, cosa che hanno i bambini e che si va a ritrovare, spesso, nell’ anzianità o anche in quella che viene chiamata comunemente pazzia, che invece per me è un altro modo di esistere. Insomma, in questi casi mi sono strutto, non poche volte”.

Cosa ha capito Andrea Appino dell’essere umano?

“Quando ho iniziato a lavorare ad Humanize, non ho mai sognato neanche vagamente di arrivare alla fine capendo una verità assoluta. Una cosa però l’ho capita, ho capito l’importanza della tenerezza. La tenerezza che provo per i miei simili. Perché che fossero risposte agghiaccianti, che fossero dure, che fossero dolcissime, che fossero anonime, erano comunque tutte risposte che fanno parte di questo gruppo di esseri, che non si sentono mai completi, a cui manca sempre un pezzettino, con questi corpi che magari a volte si ammalano e cambiano, spaventati da questi corpi che ci abbandonano. E non so come spiegarlo se non con la tenerezza, una tenerezza comune nei confronti di noi altri.

Non credo personalmente all’unica via dell’amare se stessi per poter amare tutti. C’è anche una parte di odio nei confronti di noi stessi che deve essere elaborata e migliorata, ma non scardinata. E tutto ciò l’ho ritrovato nei pensieri delle persone che ho intervistato, e mi sono sentito meno solo.”

Quanto umanità trovi che ci sia oggi nel Paese in cui viviamo?

“Dipende da cosa si intende per umanità. Secondo me il termine umanità è erroneamente abbinato all’ empatia e alle cose belle dell’umanità. Si dice essere umani quando si parla di bello, ma non è così. L’ esser umano contiene anche cose orrende ed aberranti, il giusto e sbagliato l’abbiamo creato noi. In natura accadono cose ancora più aberranti, ma le cataloghiamo come natura e dunque la legge della natura non si tocca. C’ è una marea di umanità oggi, il problema è che vogliamo convincerci che gli esseri umani siano sempre votati al bene. Non è così, gli esseri umani sono fatti di sbagli, di cattiveria, di rabbia, di rivalsa. Però ecco, ne vale sempre la pena, bisognerebbe capirsi un po’ meglio.”

Pensando a tutte le volte in cui sei venuto a suonare al Retronouveau di Messina, c’è un ricordo a cui sei particolarmente legato?

“Ho un ricordo particolarmente bello che è quello di una serata in cui ho suonato al Retronouveau ad Halloween, che è la mia festa preferita. Tutti la criticano sempre perché è importata, ma a me non importa perché mi piace proprio l’estetica di Halloween, dato che mi vesto di nero da sempre. Post concerto è stata una gran festa, tutti vestiti in maschera, maschere serissime. Io e Ufo stavamo da Dio, tant’è che siamo rimasti fino ad un’ora ignobile. Ero contentissimo.”

Ponte sullo Stretto si o no?

“Mi occupo prevalentemente di chitarre, non di ponti. Però conosco bene la Sicilia, le sue strade e la sua viabilità interna, dato che non mancano mai le tappe siciliane nei miei tour. Io mi concentrerei più sul risolvere i collegamenti interni che sono veramente messi male. Per pochi chilometri ti fanno impiegare il triplo del tempo che impiegheresti in altre regioni.”

Con chi andresti a vedere una data del tuo “Humanaize tour 2024”?

“Ce l’ho: Pessoa. Lo amo. C’è anche tanto Pessoa nel mio lavoro, e lo porterei con me e lui mi direbbe che gli fa schifo, ma in un modo bellissimo.”

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