“Libellulə” è un progetto che nasce dalla sinergia e dalla contaminazione di quattro donne: Silvia Grasso, Venera Leto, Laura Lipari e Serena Todesco. Attraverso la ricerca, la scrittura, i libri e la passione l’intento comune è far emergere aspetti poco noti del mondo letterario femminile e in generale di soggettività che vengono relegate ai margini. L’obiettivo è porre un focus su tematiche attuali e far riflettere sulla necessità di instaurare un dialogo tra i generi e modificare alcuni retaggi culturali. Il titolo è un omaggio a “La Libellula” di Amalia Rosselli ed è un augurio di leggerezza ed equilibro per chiunque lotti per la propria autodeterminazione. Di seguito la quinta puntata.

Venera Leto intervista Carla Vitantonio

 

Carla Vitantonio è cooperante, autrice, attrice. Ha lavorato come capo missione per Ong internazionali in Corea del Nord, dove ha passato quattro anni, in Myanmar e a Cuba, dove oggi vive. Si occupa di gestione di crisi umanitarie, giustizia sociale e inclusione. Per il suo impegno è stata nominata nel 2022 Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia. Attualmente è Policy Leader Fellow presso la School of Transnational Governance dell’European University Institute. Per add editore ha pubblicato Pyongyang Blues, che è diventato anche un podcast, e Myanmar Swing.
Pyongyang blues, Myanmar swing e Bolero Avana. I tuoi tre libri sono  tre memoir che raccontano attraverso i tuoi occhi tre Paesi, La Corea del Nord, la Birmania e Cuba. Tutto nasce da un’esperienza lavorativa: quella di cooperazione internazionale per una ONG. Quando hai compiuto questa scelta che è più una vocazione?
Questa domanda mi dà l’opportunità di creare un filo tra le cose che mi sono successe negli ultimi dieci anni e anche per omogeneizzare una narrazione quindi comincio dall’inizio.Ho cominciato a lavorare in una ONG per motivi molto diversi da quelli che mi spingono a continuare a lavorarci oggi. Oggi ho scelto di continuare probabilmente perchè, dopo dodici anni, ho assunto consapevolezza dell’approccio eurocentrico e patriarcale di alcune ONG e  Agenzie delle Nazioni Unite.E continuo a lavorarci proprio perchè non condivido come certi tipi di cooperazione si impongono nel mondo e soprattutto la maniera in cui le risorse vengono condivise. La retorica secondo cui non c’è cibo per tutti non è vera poiché semplicemente quest’ultimo non è ben distribuito tra tutti gli abitanti del Pianeta.E questo vale per  i beni primari ma anche per qualunque altra risorsa.L 1 % ha tutto e il 99% nulla:ciononostante questo status quo sembra inscalfibile.
Sembrerebbe che tu sia specializzata in Paesi che anche se diversi sono sicuramente lontani dalla democrazia. È stato un caso o è una scelta legata al tuo passato da attivista?
È una domanda bellissima alla quale rispondo anche sull’onda di questi ultimi dieci mesi che ho trascorso nella culla dell’Europa democratica lavorando all’Istituto Universitario Europeo. Per me è importante negoziare con i governi non democratici perchè è lì che dobbiamo cambiare le cose…se non andiamo in Paesi dove le cose non vanno affatto bene dove dovremmo andare? Dove il cambiamento non ha ragione di esistere? Secondo me bisogna lavorare proprio con quei Paesi che hanno la necessità di un cambiamento penetrante e questi sono i luoghi che ho scelto. Luoghi dove tutti mi dicono che è inutile andare perchè è impossibile negoziarvi. Luoghi in cui tutti dicono che è impossibile cavare un ragno dal buco. Questo è un atteggiamento ancora una volta molto eurocentrico e patriarcale che parte da una precisa (e limitata) visione del mondo. E dalla visione delle democrazie mature per come le abbiamo vissute noi. Io non credo necessariamente a quest’unica visione. Quando vado in missione devo sporcarmi le mani altrimenti la mia presenza non ha ragione d’essere in quel luogo.
Il record assoluto probabilmente l’hai battuto vivendo in Corea del Nord dove pochissimi italiani hanno risieduto stabilmente. In quest’esperienza  in particolare rivendichi il tuo essere donna che da svantaggio si trasforma in valore aggiunto e sembri mettere in pratica il “prendersi cura partendo dalle piccole cose” che per me dovrebbe essere il punto di partenza del femminismo oggi. Cosa ci racconti a proposito?
Sul mio essere donna in Corea e sul mio agire femminile e femminista soprattutto, ho capito che il femminismo ha una sua pluralità intrinseca e per restituire al movimento e ai femminismi un posto nel mondo dovremmo rivendicare la legittimità di occupare, anche con un certo livello di conflitto, gli spazi pubblici. Il cambiamento  avviene sempre nelle pratiche quotidiane che come dici tu per me è importantissimo.In Corea del nord ogni volta che pensavo: non ho fatto nulla per il Paese è ancora un disastro! poi mi concentravo su quelle sette persone che hanno lavorato con me e hanno imparato a prendere una decisione seguendo il proprio senso critico.
E poi pensavo agli 8 bambini che grazie al mio lavoro sono riuscita ad aiutare. Non vuol dire che poiché si tratta di piccoli numeri siano meno importanti. Anzi ti dirò che non solo nel mio lavoro ma anche nella vita i grandi numeri non contano affatto. In questo momento sto lavorando ad un podcast sulla coloniality che parla proprio di questo: di pratiche quotidiane di rivoluzione de-coloniale che partono dal basso, dai piccoli numeri.Ogni essere umano è unico e bisogna cercare di valorizzare questa unicità.
La cosa più bella dei tuoi libri è per me quella che smonti con fermezza le narrazioni dominanti e riesci a farlo con leggerezza regalandoci delle immagini di una bellezza assoluta. Tre cartoline emozionali da ciascun Paese?
Non so se voglio limitarmi a lasciare tre cartoline perchè rischiamo sempre di cristallizzare. Nel frattempo è arrivata Poldina, la mia gatta bianca e nera. Poldina  è un augurio di cura e amore e niente è così amorevole nemmeno l’orizzonte della playa larga dove passeggiavo stamattina.

Nei tuoi libri un’attenzione ricorrente viene dedicata al mondo queer. È un’attenzione importante per rivendicare un’identità precisa ma anche per raccontarci un mondo che spesso viene ancora non raccontato e dimenticato. Puoi dirci di più?

In tutti i miei libri cerco di parlare della realtà che viviamo anche all’interno delle nostre comunità. Per questo è importante rivendicare continuamente la fluidità, il fatto che non siamo incasellabili, rivendicare ila nostra identità daunicorno e l’idea che la persona davanti a noi magari si sta manifestando in uno stato ma quello stato è transitorio. Questo è vero per me come ben sai.

E infine la musica di cui le tue pagine sono intriseTalmente tanto da dare anche titolo ai tuoi libri. Lasciaci con un brano musicale per sognare ancora le tue parole.

Pensavo a “Fantasia” di Chico Barque ma adesso ho ascoltato questa e mi sono scese le lacrime quindi forse è questa la canzone giusta: “Volver a los 17” di Mercedes Sosa.

 

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