“Libellulə” è un progetto che nasce dalla sinergia e dalla contaminazione di quattro donne: Silvia Grasso, Venera Leto, Laura Lipari e Serena Todesco (bio in calce). Attraverso la ricerca, la scrittura, i libri e la passione l’intento comune è far emergere aspetti poco noti del mondo letterario femminile e in generale di soggettività che vengono relegate ai margini. L’obiettivo è porre un focus su tematiche attuali e far riflettere sulla necessità di instaurare un dialogo tra i generi e modificare alcuni retaggi culturali. Il titolo è un omaggio a “La Libellula” di Amalia Rosselli ed è un augurio di leggerezza ed equilibro per chiunque lotti per la propria autodeterminazione. Di seguito la terza puntata:

 

 

Silvia Grasso intervista Carolina Capria

 

Fatte a pezzi, trattate come bambole, mostrate come trofei. È il destino delle donne nella nostra società o, più esattamente, è il destino dei loro, nostri, corpi. Sono partita da questa considerazione per intervistare la scrittrice e autrice Carolina Capria in occasione del suo ultimo saggio “Dalla parte di Cassandra” edito da Quanti Einaudi.

Il corpo è un tema ricorrente nella tua produzione letteraria. Sia nei libri per ragazzi che nei saggi destinati a un pubblico adulto, gran parte del tuo lavoro consiste nell’analizzare in che modo i corpi vengono rappresentati nella nostra società. In particolare, la tua riflessione si concentra su quelli femminili (e delle soggettività percepite come donne) perché sono i corpi che portano il peso di una stratificazione storica di convenzioni, imposizioni e costrizioni. Io inizierei chiedendoti che rapporto hai, oggi, con il tuo corpo e come è cambiato nel tempo alla luce di una maggiore presa di coscienza dei fenomeni culturali che agiscono su di esso?

Iniziamo con una domanda difficilissima! Il mio corpo sta invecchiando, me ne accorgo, e non posso dire che la cosa mi lasci indifferente e che non mi turbi, anche perché ho cominciato a chiedermi da un po’ di tempo come reagirò al decadimento, che effetto mi farà vedermi vecchia. Non ho risposte ovviamente, però posso dire che se da una parte sono spaventata all’idea di non piacermi più, perché ovviamente sono anche io inconsciamente convinta che la vecchiezza femminile non possa essere apprezzata, dall’altra sono anche elettrizzata. Voglio vedere come cambierà il mio corpo, e che vecchia sarò, sono curiosa di conoscermi. Questa ambivalenza mi permette di dire una cosa che credo possa esser utile a chi sta provando a decostruire alcuni schemi automatici di pensiero: il femminismo non è un percorso lineare, le consapevolezze acquisite non cancellano le insicurezze, le difficoltà nel non considerare il corpo come un oggetto, ma le affiancano. Alcuni giorni so che il mio corpo va bene, non è da aggiustare, altri invece mi guardo allo specchio e vedo solo quello che non va, quello che vorrei diverso.

In Campo di battaglia citi “Il mito della bellezza” di Naomi Wolf, un classico della letteratura femminista degli anni ’90. Oggi l’industria della bellezza è profondamente cambiata rispetto a quegli anni e sono cambiati anche i modelli estetici di riferimento per le donne. Eppure il cambiamento non equivale a una vera e propria liberazione dagli standard di bellezza ma anzi, al contrario, sembra che consista in una moltiplicazione di gabbie in cui essere imprigionate costruite da mille standard estetici a cui rispondere. Secondo te è davvero possibile arrivare ad un punto in cui le donne saranno libere di fuggire da qualsiasi tipo di costrizione estetica senza subire giudizi dalla società? E in che modo credi che la tecnologia abbia influito nella moltiplicazione di modelli di bellezza e nel modo di rappresentare i corpi delle donne?

Parto dalla seconda domanda, io credo che la tecnologia e i cambiamenti che nell’ultimo decennio hanno modificato il nostro modo di comunicare, abbiano rappresentato da una parte un’enorme opportunità, ma dall’altra abbiano anche reso il mondo ancora più complicato per le ragazzine e le donne – e per ragazzini e uomini, seppur con modalità e misure diverse. Se da una parte, infatti, c’è stata una moltiplicazione dei modelli che ci ha permesso di veder rappresentati corpi che erano sempre stati esclusi, dall’altra gli standard di bellezza sono diventati sempre più invasivi. Una ragazzina oggi non solo ha sempre a disposizione immagini – più o meno artefatte – di perfezione con cui confrontarsi, ma è costretta anche a fare i conti con la propria immagine e con il proprio aspetto in un modo del tutto nuovo. Quando io ero un’adolescente guardavo la mia faccia riflessa nello specchio mediamente un paio di volte al giorno, adesso invece le ragazze si osservano nello schermo del cellulare per moltissimo tempo ogni giorno, e spesso si cambiano anche i connotati attraverso i filtri. Solo tra qualche anno potremo renderci conto dei danni provocati da queste abitudini.

Tornando alla prima domanda, non posso che augurarmi di sì, ma sono consapevole che ci vorrà tempo, e che i muri che dovranno abbattere le donne delle prossime generazioni, al momento noi non siamo nemmeno in grado di vederli.

La tua ultima pubblicazione è “Dalla parte di Cassandra” per la collana Quanti di Einaudi. È un piccolo saggio che parla di un tema delicato e estremamente attuale: il consenso. In Italia il dibattito sul consenso fatica a raggiungere il livello degli altri stati europei. Eppure, storie di stupri e molestie sessuali attraversano la quotidianità della vita delle donne. Secondo te, quali sono gli elementi culturali che contribuiscono a creare questo ritardo?

Credo che al centro delle riflessioni femministe dei prossimi anni ci sarà proprio il consenso. Al momento, come società, non abbiamo ancora gli strumenti per comprendere (e accettare) la portata rivoluzionaria di un concetto che affonda le sue radici nel modo in cui uomini e donne vengono educati da sempre. I film, le canzoni, le fiabe, e la gran parte dei prodotti culturali e di intrattenimento che abbiamo fruito sin dall’infanzia, ci hanno insegnato che uomini e donne hanno dei ruoli stabiliti all’interno dei rapporti, che un certo tipo di struttura relazionale è quello giusto e finanche naturale. Abbiamo imparato che il principe bacia la principessa, che se anche non dorme, di certo non prende l’iniziativa, che la vergogna e il giudizio riguardano solo la sessualità femminile, che gli uomini hanno esigenze e bisogni…

Ecco, mettere in discussione tutto questo non è facilissimo e richiede tempo, ma è un passaggio fondamentale da fare per ripensare le relazioni in modo paritario, come luoghi nei quali ciascuna parte sia veramente libera di accordare o negare il proprio consenso. Nel nostro paese – e basta guardare qualche spot o manifesto pubblicitario per averne contezza – il corpo femminile è ancora considerato un oggetto utile per vendere. Un oggetto che può essere fatto a pezzi, sessualizzato in ogni sua parte. In questo contesto è difficilissimo che le donne vengano percepite e, soprattutto, si percepiscano, come soggetti in grado di esprimere una propria volontà sempre e comunque. Mi ripeterò, ma anche in questo caso è solo questione di tempo. Ci arriveremo, o meglio, ci arriveranno le future generazioni, che continueranno il lavoro iniziato decenni fa.

Parliamo di desideri. Gran parte dell’educazione che abbiamo ricevuto noi donne ci ha suggerito che l’aspirazione più importante a cui possiamo tendere è il coronamento del sogno più grande di tutti: un matrimonio, una famiglia, dei figli. Anche se con il tempo le aspirazioni a cui le donne possono tendere sono cambiate, è molto probabile che al centro dei sogni e dei desideri di qualsiasi ragazza ci sia ancora la ricerca dell’amore perfetto. Il punto non è tanto l’oggetto del desiderio in sé, ma il fatto che, per cultura e per educazione, le donne hanno sempre dovuto seguire e assecondare la pressione delle aspettative esercitate dalla società su di loro. Questa idea, tra l’altro, appartiene a una vecchia impostazione che pensa le donne come una sola e unica categoria con le stesse esigenze e bisogni. Oggi, per fortuna, sappiamo che le donne (esattamente come gli uomini) sono persone uniche che hanno il diritto e il dovere di affermare la propria identità a prescindere dalle pressioni richieste dalla società, eppure continua ad essere molto difficile sottrarsi alle aspettative esercitate dalla società. Dunque ti chiedo: come suggeriresti alle donne e alle giovani ragazze che esiste un diritto ai desideri svincolato dalle aspettative sociali? Quale strada pensi sia la più giusta per intraprendere una vera e propria educazione ai desideri?

Su questo tema ho riflettuto molto, perché io stessa in prima persona mi sono dovuta confrontare con i miei desideri, e quindi ho dovuto cercare la mia voce interiore e ascoltarla.  Sono convinta che ciascuna persona – in questo caso parliamo di donne, perché conosco le aspettative che ha la società rispetto al genere a cui appartengo – sia in grado di individuare le proprie aspirazioni e tracciare la rotta più giusta per giungere al loro soddisfacimento. Per riuscire in questa impresa, però, è fondamentale ridurre a un bisbiglio il fragore che giunge dall’esterno e che ci prescrive determinate condotte e scelte. Voglio davvero diventare madre o lo desidero solo perché mi hanno sempre detto che fosse mio destino esserlo? Voglio davvero lottare per avere successo mettendo da parte quello che mi piace oppure sto solo rispettando il copione scritto per me? Non dobbiamo mai dare per scontato che quelli che ci appaiono come nostri desideri non siano in realtà le aspettative che la società ci ha riversato addosso, e per farlo dobbiamo dare fiducia alla nostra voce, al nostro istinto, alla parte più autentica di noi.

Dal 2019 porti avanti un bookclub di successo sia online che in presenza. Uno dei punti di forza è il dialogo tra donne di generazioni diverse che si instaura a seguito della lettura del libro del mese. Quanto sono state importanti le esperienze delle altre donne nella tua vita e nel tuo lavoro?

Non riesco nemmeno a quantificare la ricchezza che mi è stata donata negli ultimi anni. Il confronto con le altre donne mi ha permesso di acquisire molta più consapevolezza, e di questa opportunità sarò sempre grata. Per quanto mi riguarda, la condivisione delle esperienze rimane lo strumento più potente a nostra disposizione per cambiare noi stesse e il mondo.

 

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