Non è uno scherzo. Ormai sappiamo che ciò che molti di noi paventavano è divenuto realtà. Avremo un leghista assessore regionale dei Beni Culturali. Un po’, osservavo qualche giorno fa in un commento (ahimè profetico) su Facebook, come se si affidasse la gestione dell’AVIS, l’Associazione dei volontari donatori di sangue, a Dracula il vampiro…

Il recentissimo “rimpasto”, in realtà una porcata planetaria messa su giusto per tirare a campare, con la complice connivenza di politici e partiti che abbiamo ben conosciuto nei loro continui ultraventennali trasformismi (da Miccichè a Romano, da MpA a UDC….) conferma purtroppo che la politica siciliana è giunta a suo livello storico più basso, più miserabile. La persona nominata prenderà le redini di un Assessorato che alla fine degli anni ’70 aveva iniziato gloriosamente il suo percorso virtuoso sotto la guida di un politico lungimirante come il messinese Luciano Ordile, democristiano di lungo corso ma capace di circondarsi di esperti come Leonardo Sciascia, Antonino Buttitta, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Vincenzo Tusa, Giuseppe Bellafiore e altri di pari calibro, e lo aveva concluso con la tragica scomparsa di Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale, le cui idee, la cui capacità, la cui lungimiranza avevano iniziato a imprimere al settore una nuova linfa, riconferendogli il prestigio che da quella iniziale gloriosa primavera si era andato progressivamente opacizzando. Alla morte di Tusa il Presidente della Regione (affé mia, mai ne abbiamo avuti di peggiori in tutta la storia siciliana) incautamente si attribuì ad interim la titolarità del dicastero, giusto in tempo per attivare procedure e criteri di nomine dirigenziali che disattendevano il buon senso prima ancora che le regole scritte.

Questo Musumeci è davvero un fenomeno. Giunto a presiedere la Regione per la scarsa capacità aggregativa dei partiti che avrebbero dovuto combatterlo, si trova adesso in balia dei suoi alleati, una fazzolettata di politici pronti a tutto pur di rimanere in sella. L’aiutino della Lega, ultimo in ordine di tempo, ha adesso comportato questa nomina, un plateale ossimoro che vedrà un seguace di Salvini occuparsi (sic) della Valle dei Templi, di Morgantina, del nostro Museo Regionale, del Teatro greco-romano di Taormina, delle centinaia di siti, di strutture, di realtà culturali che hanno fatto della Sicilia il luogo con il maggior numero di riconoscimenti Unesco

Il roboante proclama elettorale di Musumeci (Diventerà bellissima) si capovolge così trasformandosi in un contrappasso quanto mai grottesco, attesa la naturale indifferenza e refrattarietà della Lega rispetto a tutto quanto sia cultura.

E viene lo sconforto, perché par di essere tornati indietro di quasi un secolo. La destra leghista e la destra nostalgica da cui il Presidente proviene condividono infatti l’avversione verso la cultura intesa come sentimento del tempo, confronto critico, consapevolezza della varietà, della ricchezza e della pari dignità di ogni espressione dell’uomo volta a dare senso alla realtà.

Vuoi riconoscere un fascista? Bene, se nel suo lessico ricorre il termine “culturame” hai fatto centro, si tratta di uno di loro.

Ora, questo mischino di neo-assessore si troverà a gestire una struttura che si occupa, oltre che di beni culturali, anche di identità siciliana.

Identità! Parola quanto mai abusata, travisata, piegata alle più turpi ideologie nel corso di quest’ultimo secolo.

Nel calderone identitario si sono così venuti mescolando numerosi ingredienti, da quelli legittimi di riconoscimento e apprezzamento di una storia e di un destino comuni a quelli assolutamente nefasti di esaltazione indiscriminata della propria cultura e corrispondente chiusura a qualunque forma identitaria altrui.

La verità è che questo termine tanto di moda necessita sempre di un lavoro di decostruzione volto a rivelarne i livelli e soprattutto a far emergere la consapevolezza che la nostra come qualunque identità non è mai data una volta per tutte ma si costruisce faticosamente attraverso mutui scambi, imprestiti, contaminazioni e meticciati con altre forme identitarie che la storia si incarica di farci incontrare. Basterebbero le vicende stesse della nostra isola a dimostrare come la sua identità sia plurima, frutto di un mirabile palinsesto antropologico e culturale esito delle molteplici “scritture” impresse dai popoli che in essa si sono avvicendati.

Riconoscere ciò comporterebbe la fuoriuscita definitiva dalla logica delle appartenenze che dividono le comunità e creano diffidenze, razzismi, innalzamento di muri fisici o mentali.

Non esistono culture che non siano in qualche misura ibride, ce lo rammentano Nestor Canclini, illustre antropologo argentino naturalizzato messicano, Francesco Remotti, uno dei decani dell’antropologia italiana, e molti altri studiosi del nostro tempo. L’essere ibrido indica proprio l’esito di una liminarità, di uno stare alla frontiera con altre realtà, situazione che produce – com’è naturale – proficui e incessanti travasi…

Per farla breve, come mi è già capitato di osservare, senza una qualche forma di identità non si può vivere, ma di troppa identità si muore. Esistono infatti esigenze legittime di continuità, di radici, di coerenza, di riconoscibilità e distinguibilità…… Ma questo va bene solo se si tengono i piedi per terra, se l’identità la si coltiva solo un po’, consapevoli di tutto il resto. Quando da un po’ si passa alla totalità, allora si passa dalla normalità alla patologia.

L’identità “monolitica” è infatti una risposta esagerata e patologica a quelle esigenze. Una malattia del pensiero.

Quando questa malattia rimane confinata alla singola persona il problema è di natura psichiatrica. Quando investe intere comunità diventa, spesso tristemente, socio-politica. E anche etica.

La tara identitaria dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali ha evidentemente fatto da cavallo di Troia alle fumose e schizofreniche identità malate messe in campo dai leghisti già dall’inizio del loro esistere. Cosicché oggi un ometto come Salvini ha buon gioco nel proclamarsi estimatore dell’identità siciliana, di una regione rispetto alla quale la sua ignoranza è, se possibile, ancora più abissale del solito.

L’errore di Musumeci, al di là delle scarse capacità umane e politiche dell’uomo, è pertanto quello di aver messo, come direbbe Kierkegaard la nave in mano al cuoco di bordo, capace dunque di indicarci non già la rotta ma solo quel che mangeremo domani.

Sta a chi non si riconosce in questo quadro alquanto squallido preparare – con evangelica astuzia di serpenti e purezza di colombe – un radicale ammutinamento che possa ricacciare il cuoco ignorante di rotte là dove è giusto che lui stia.