‹‹ In prossimità del porto su varie piccole imbarcazioni a due remi si pongono due uomini, ciascuna per esse. Un solo osservatore da un luogo elevato dirige i movimenti di queste. Su ogni barca, un uomo è ai remi, l’altro – armato di un arpione – sta a prora››.

Così scriveva nel II sec. a. C. lo storico Polibio, nel descrivere la pesca al pescespada nello Stretto di Messina, o anche definita, la “caccia al pescespada”. Questa antichissima pratica ittica è rimasta quasi del tutto immutata per circa duemila anni, diventando simbolo e patrimonio della cultura messinese.

In realtà, i primi a praticarla furono i cugini calabresi, dirimpettai della costa peloritana.

‹‹L’osservatore annunzia l’arrivo del pesce che fa emergere un terzo del suo corpo dalla superficie del mare. Quando la barca gli è vicina, il pescatore armato lo colpisce nel corpo: poi strappa la lancia, lasciandone una punta nel corpo della bestia.(…) Talvolta accede che il rematore venga ferito attraverso lo stesso scafo a causa della lunghezza del rostro del pescespada e per la forza della belva. Per la resistenza opposta all’animale, questa pesca è simile alla caccia al cinghiale››

Storicamente le figure coinvolte erano tre, ma con il passare degli anni divennero quattro, cinque o addirittura sei. La vedetta, posizionata su una rupe che affacciava sulla costa, aveva il ruolo di avvisare, attraverso urla, suoni e gesti, i colleghi che attendevano pronti su una piccola barchetta detta “luntro”, ogni qualvolta avvistasse un pescespada nuotare in superficie. Recepite le indicazioni, la piccola imbarcazione si lanciava all’inseguimento della preda, alcune volte anche per ore, fino al momento in cui, da distanza ravvicinata, “u lanzaturi” (che spesso coincideva con il proprietario della barca) munito di una lancia dalla punta arpionata, sferrava un colpo parabolico nella speranza di colpire il pescespada, infilzando la punta che permetteva, tramite una corda legata all’arpione, di poter tirare la preda fino a farla stancare.

Come sottolineato in precedenza, le fonti storiche ci dicono che i primi furono a Scilla, poiché la morfologia della costa messinese non permetteva di praticare questo tipo di pesca, a causa della mancanza di alte scogliere o di rupi dove far appostare la vedetta.

Solo nel XVI sec. d.C. lo storico Francesco Placido descrive la pesca al pescespada nella riviera messinese, grazie all’uso di barche zavorrate alla base e dall’alto albero, denominate “feluche”. Queste imbarcazioni erano poste a una distanza una dall’altra sufficiente da poter coprire una discreta porzione di costa. La feluca, che fu subito adottata anche dai pescatori calabresi, e il luntro furono i protagonisti dello Stretto fino all’avvento della motorizzazione.

La caccia al pescespada era divenuta un’attività talmente importante al punto di radunare le intere popolazioni dei villaggi sulle spiagge, a osservare l’avvincente sfida tra l’uomo e la preda. Nel XVII e XVIII secolo Messina divenne tappa fissa per principi, conti e nobili in visita in Sicilia, desiderosi di ammirare questo incredibile spettacolo (e di questo ce ne siamo completamente dimenticati).

Dopo la seconda guerra mondiale al luntro venne montato il motore e successivamente una passerella, in modo da poter facilitare di molto il lavoro del lanciatore. E qua ci casca l’asino.

Sulla primogenitura della passerella vi sono diverse storie attribuite a pescatori locali, ma io mi sono fatto un’idea ben precisa. Durante il mio lavoro di ricerca di tesi ho trovato un articolo sulla pesca al pescespada con l’arpione nel New England (USA), in particolare nelle coste del Massachusetts, dove vengono raffigurate delle grandi imbarcazioni, con un alto albero e una passerella, navigare nell’oceano Atlantico alla ricerca del pescespada.

La foto più datata risale al 1876, circa ottanta anni prima dell’utilizzo della passerella sulle coste dello Stretto. La mia teoria è la seguente: tra il 1901 e il 1915 l’Italia ha vissuto un periodo che è stato rinominato “la grande emigrazione”; circa tre milioni fra siciliani, calabresi e campani lasciarono l’Italia e più del 45% scelsero come meta finale gli Stati Uniti d’America, creando una grande comunità, tutt’ora molto forte e influente. Credo fortemente che l’invenzione della passerella, che venne in seguito montata sulla feluca che adesso vediamo navigare nel nostro splendido mare durante i mesi estivi, non sia nient’altro che un passaparola di migranti, che ha permesso a una pratica innovativa di radicarsi in un territorio e nella sua cultura ittica.

I tempi sono cambiati, certo. Ma la storia si ripete, in ogni parte del mondo in maniera diversa, dagli orti urbani di Manhattan o Vancouver, al sistema di pagamento tramite cellulare usato in ogni angolo del Kenya. Non siamo altro che il frutto dello scambio di esperienze vissute da ogni singola persona in tempi e spazi che si intrecciano fra loro, come una tela in cui viene inserito sempre un filo dalla sfumatura di colore differente. Da lontano sembrano tanti fili gialli, rossi, verdi (ect..) ma da vicino e con estrema attenzione non ce n’è uno uguale all’altro.

Tutto questo per dire che: dovremmo tornare a usare la storia come strumento di analisi (gli imprenditori di successo visionano lo storico delle vendite giornaliere comparando anno per anno) e dovremmo giudicare di meno (pratica dilagante sui Social Network e nella vita di tutti i giorni), provando a dialogare e a comprendere di più (nella maggior parte dei casi sono soltanto malintesi mai discussi). Con un po’ di attenzione e un po’ di esercizio renderemo la nostra vita decisamente più colorata.

(P.S. Tutte le informazioni su questa particolare pesca sono disponibili grazie a Rocco Sisci, autore del libro “La caccia al pescespada nello stretto di Messina”, testo che dovrebbe essere presente in ogni casa, e perché no nelle scuole, di Messina.)

Fonti:

Gudger E. W.  (Maggio, 1942) Swordfishing with the Harpoon in New England Waters. I

The Scientific Monthly, Vol. 54, No.5 (pp. 418-430)

Sisci R. (2005), La caccia al pescespada nello Stretto di Messina. E.D.A.S. pp.13-98

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Aldo
Aldo
31 Luglio 2017 18:26

Recentemente mi sono dovuto recare nei pressi di Boston, Massachusetts, per lavoro. Durante una cena presso un ristorante di pesce ho notato con stupore che nel menù era presente un piatto a base di pescespada che andava sotto il nome di “swordfish Messina”. Ho chiesto alla cameriera se avesse potuto domandare allo chef o al proprietario il motivo ma purtroppo non mi ha saputo dire nulla.