MESSINA. Non c’è pace per Messinambiente: proprio ieri, quando i vertici della partecipata si recavano al tribunale per depositare la richiesta di concordato, le Fiamme gialle facevano visita agli uffici di via Dogali, e ne uscivano con un milione e 250mila euro, tutto quello che l’azienda aveva “in cassa”: sequestrati per iva non pagata negli anni 2012 e 2013.

Un fardello, quello del passato, che ha portato Messinambiente alle soglie del fallimento, e che la perseguiterà fino alla morte. Perché, come ha scritto il legale Marcello Parrinello nella proposta di concordato, riconoscendo i gravissimi errori gestionali compiuti negli anni precedenti, per anni la scelta è stata se pagare gli stipendi o i fornitori, il fisco o gli oneri previdenziali. E adesso quegli errori stanno presentando il conto: ed è quasi una fortuna che le casse di Messinambiente siano così asfittiche, perché l’iva non pagata relativa ai due anni ammonta a circa cinque milioni di euro.

Che la colpa fosse principalmente del Comune, che all’azienda non dava una somma sufficiente ad operare correttamente, l’ha sancito anche il tribunale penale, assolvendo gli amministratori di quegli anni, Nino Dalmazio e Armando Di Maria dal reato connesso agli omessi versamenti: i giudici, e la pubblica accusa non ha proposto appello, concordando quindi con la sentenza, hanno riconosciuto lo stato di necessita: o si pagava l’erario o gli stipendi. Non vedendoseli arrivare a fine mese in busta paga, oltre all’ovvio problema sociale, i lavoratori, incrociando le braccia, avrebbero provocato un’emergenza sanitaria.

Ovviamente, col sequestro della cifra che rappesentava pressoché tutta la liquidità della partecipata, ad essere a rischio sono di nuovo gli stipendi dei dipendenti. E toccherà a Comune fare i salti mortali per trovarli. In fretta. E ancora oggi, i fantasmi di quel passato in cui dal Comune i soldi a Messinambiente arrivavano col contagocce tornano a perseguitare la partecipata.

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments