Quando è morta la poetessa Maria Costa, ho avuto l’onore di essere incaricato dai familiari di questa donna straordinaria di preparare una breve orazione funebre in memoria di lei. In quell’occasione, con voce a tratti rotta dall’emozione dinanzi alla sua bara, ho detto che Maria era stata per Messina, in tutti gli anni in cui era vissuta, una sorta di alibi. Fintanto che lei era rimasta in vita la città si era infatti potuta illudere di possedere ancora la sua anima antica, la sua identità. Maria era stata l’unica depositaria del dialetto messinese pre-terremoto, da lei appreso dai genitori e dai nonni e mai dismesso in quasi novant’anni di vita e aveva inoltre sviluppato molto presto una doppia attitudine di poetessa popolare e di custode di uno sterminato patrimonio di memorie orali. Proprio quello che i messinesi avevano dimenticato ma che – persistendo in Maria – potevano essere ottimisticamente ma illusoriamente considerate un patrimonio comune.

Credo che un meccanismo analogo abbia operato, e continui a operare, nel caso dell’architetto Nino Principato (per grazia di Dio e per nostra fortuna vivo e vegeto). Leggendo le straordinarie testimonianze che egli ha offerto, e spero continui a offrire, sul web intorno a pezzi di storia di Messina, a monumenti, a personaggi, a modi di vita e di cultura di questa nostra bella e sfortunata città, ci si rende conto dell’amore che quest’uomo nutre verso Messina, e si può arrivare a farsi un’idea del rapporto che può crearsi tra uno storico, un erudito locale e la sua piccola patria: un rapporto di amore incondizionato e di coinonìa, di piena e completa appartenenza a un luogo, al suo passato, al suo destino.

Leggendo altresì i commenti che i lettori di Principato lasciano a fronte di ogni suo generoso contributo, ecco però che sorprendi in vivo il meccanismo di cui parlavo sopra. Questi commenti infatti non scaturiscono – nella loro maggior parte – da un’esigenza di dialogo costruttivo, fatto di contributi, integrazioni, trasmissione di dati, creazione di memorie condivise, ma rivelano dinamiche piuttosto riconducibili ai fenomeni del divismo. Agli straordinari e puntuali post di Principato, i più dei suoi lettori-seguaci gli rispondono infatti: “Grazie di esistere”, “ti vorremmo sindaco o assessore”, “per fortuna che ci sei tu”, e via di questo passo.

Tutto ciò, questa serie sterminata di lodi e di espressioni augurali, non può che fare piacere a chi ne è l’oggetto, e credo che al caro Nino Principato ne faccia (o ne abbia fatto, nel caso deprecabile che egli confermi ciò che ha dichiarato di voler fare, ossia il suo abbandono di un social come Facebook che in un solo anno lo ha visto assurgere al ruolo di testimone appassionato di Messina e della sua storia).

Ma tutto ciò, intendo le modalità di recepimento dei messaggi di Nino, non è bene, proprio perché rivela quel pernicioso transfert di cui parlavo.

Nel mio ultimo contributo su questa Rivista ho parlato di Renato Accorinti come di un capro espiatorio, di un mezzo perché i messinesi possano concentrare in un’unica persona tutte le negatività, endemiche, che affliggono la città, e in tal modo purificarsi da ogni responsabilità (es: se Accorinti havi ‘a cuppa d’a spazzatura, possiamo continuare impunemente a scaraventarla dovunque e a qualunque ora come abbiamo sempre fatto).

Bene, il caso Nino Principato – assurto nelle ultime settimane agli onori delle cronache cittadine e nazionali – rivela, in maniera non dissimile dai meccanismi operanti negli esempi qui offerti di Maria Costa e del nostro Sindaco, come nella società messinese la delega, l’alibi e i meccanismi autoassolutori siano pratiche comuni e predilette. Cosa questa che comporta molto spesso l’incapacità di leggere la realtà per ciò che fattualmente essa è, e il persistere nel costruirsene una fallace e illusoria rappresentazione.

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Nino Genovese
Nino Genovese
12 Giugno 2018 10:32

Analisi lucida, perfetta, che condivido in pieno! Non possiamo farci illusioni… questa è la nostra città! Dobbiamo, però, ugualmente continuare a impegnarci per cercare di migliorarla (“spes ultima dea”), ognuno nel suo àmbito, come hanno fatto Renato Accorinti (nonostante i numerosi denigratori) e Nino Principato, per la cui mancata eleziobe sono molto dispiaciuto e deluso anch’io!…