In un saggio apparso nel 1982 un eminente antropologo francese, René Girard, ha delineato in modo definitivo i meccanismi della persecuzione e del sacrificio, temi ai quali aveva già dedicato opere precedenti. 

Il capro espiatorio, questo il titolo del libro, ci mostra come esista da sempre un meccanismo che consente ad alcuni gruppi umani di consolidare una propria rappresentazione del mondo, sottraendola alla fragilità cui ogni rappresentazione del mondo va soggetta, e soprattutto occultando – di tale concezione – l’autentica natura, quasi sempre caratterizzata da aggressività, volontà di dominio e gruppocentrismo. 

Il capro espiatorio è un animale, ma può essere anche una persona, che paga per colpe che sono di altri. Egli viene pertanto emarginato, stigmatizzato, sacrificato e a volte anche ucciso, venendo a lui addossate responsabilità che non gli sono proprie. In tale meccanismo, che giova a mantenere il gruppo in una condizione di (precario) equilibrio, la pratica del capro espiatorio mette in moto dinamiche incentrate sul sacrificio, sulla dialettica vittima-carnefice, sulla sofferenza e il dolore, sulla marginalizzazione, la stigmatizzazione, l’emarginazione, la colpevolizzazione, lo stigma, la persecuzione, il risentimento, la vendetta, la violenza cieca. Di fatto le leggi che governano questa pratica sono quelle dello stereotipo, del pregiudizio, della barbarie.

Bene. Andiamo adesso ai giorni nostri. C’è un popolo (il buon popolo messinese, come amavano chiamarlo gli eruditi locali d’inizio Novecento) che da alcuni decenni (diciamo, grossomodo, dagli anni sessanta del secolo scorso in poi) sopportano senza fiatare una serie incredibile di scempi perpetrati a danno della città, del suo territorio, della sua qualità di vita, del livello complessivo di “civiltà” della comunità locale, addirittura della sua possibilità di sperimentare “vita gioiosa”, quella che consente ai giovani di mettere su famiglia, e poi di fare figli e di vederli crescere bene, agli adulti di lavorare a progetti utili alla società e agli anziani di consumare serenamente l’ultimo tratto della loro esistenza.

Qualche esempio di tali scempi? Demolizione indiscriminata di monumenti storici, devastazione del territorio attraverso cementificazione selvaggia, annichilimento della normale dinamica urbanistica attraverso un osceno ius soli accordato a una dinastia di ferrybottari. E poi corruzione politica, corruzione amministrativa, degrado e abbandono dei villaggi (rimasti paradossalmente unico centro storico della città), malavita a gogò e droga, pizzo, imbarbarimento dei costumi….. e chi più ne ha più ne metta.

Bene. A fronte di tutto questo i messinesi tipo hanno tirato a campare. Da buoni buddaci si sono limitati a fare chiacchiere da bar, hanno visto passare e sopportato ogni sorta di sindaci, assessori, consiglieri comunali, presidenti e consiglieri di quartiere, responsabili a vario titolo della cosa pubblica. Hanno girato la testa da un’altra parte mentre un osceno trenino di superficie scompaginava la viabilità e sono rimasti affacciati al balcone quando scandali inauditi scuotevano la società locale (un po’ come faceva Totò in un memorabile sketch, quando un tizio lo prendeva a pugni e lui si diceva: “vediamo dove costui vuole arrivare…..”).

Da qualche tempo però questo incredibile buon popolo messinese si è risvegliato. Si indigna e protesta. Si occupa con acume critico di tutto quanto avviene in città e segue con particolare impegno le vicende dell’Amministrazione Comunale, del Sindaco in modo speciale. Ha trovato finalmente (direbbe Marie Cardinal) “le parole per dirlo”. E le parole sono ormai tante, la più frequente delle quali è “tibetano”. Questo termine è ormai usato come omologo a “talebano”, tanto si percepisce nei Social la carica di disistima, antipatia, disprezzo, odio che si riserva alla persona cui la si appiccica, il povero Renato Accorinti, che quattro anni or sono si è (ahimè incautamente) illuso di poter mutare la dura cervice dei messinesi con un progetto di crescita civile e di “liberazione” analogo (sugli accostamenti non bado a spese!) a quello avviato sessant’anni fa dal Priore di Barbiana nella sua povera comunità.

Renatino incauto! Dovevi saperlo, o almeno sospettarlo, che una società malata e squilibrata, ormai priva di qualunque sentimento del tempo di qualunque “sete di giustizia”, non attendeva altri che un capro espiatorio, una realtà “aliena” attraverso cui operare una colossale opera di rimozione dei propri guasti e procedere a un esorcismo esemplare sui propri endemici mali!

Non l’avevi messo in conto. Adesso altro non ti tocca che sorbirti questo stratosferico cahier de doléances, che metterebbe in crisi anche il più supercazzuto dei leader mondiali.

Non puoi che stringere i denti e sopportare. Ancora per qualche mese. Poi il dada, il giocattolino ludico, non sarà più a disposizione dei tuoi detrattori. E forse penseranno a te con nostalgia.

Subscribe
Notify of
guest

4 Commenti
meno recente
più recente più votato
Inline Feedbacks
View all comments
Andrea Schifilliti
Andrea Schifilliti
9 Agosto 2017 11:55

Analisi faziosa con molti luoghi comuni. Non è per criticare, da votante deluso, ma l’attacco è da chi è stato illuso che qualcosa sarebbe cambiato ma così non è stato. Che anzi chi si ammantava di onestà e trasparenza non ha agito secondo i valori che va predicando. Il caso Dalai Lama è stato emblematico. Quindi non reputi Accorinti un capro espiatorio, ma vittima di se stesso

Giovanni
Giovanni
10 Agosto 2017 1:33

Sergio Tedesco sei poco credibile…impegnati di più

emmeaics
emmeaics
18 Agosto 2017 7:45

accorinti non è un capro espiatorio, nonostante la barba, è solo un incapace che malauguratamente i messinesi hanno eletto sindaco, la sua amministrazione lungi da prendere le distanze da chi li ha preceduti è riuscita solo a fare peggio. Vorrei ricordarle che a quelli che lei chiama con sprezzo ferrybottari, sino all’anno scorso renatino chiedeva i soldini per i giochi d’artificio post Vara!

Pietro
Pietro
18 Agosto 2017 11:17

Tuttavia è innegabile che i messinesi hanno tutto il diritto di contestare l’operato del sindaco, senza per questo essere biasimati o insultati. La sua parte di responsabilità, in quanto primo cittadino, è tutt’altro che trascurabile.
Accorinti è fautore del suo stesso “personaggio” adatto alle chiacchiere da bar, con i suoi vezzi, e le lotte demagogiche alienate dal suo mandato.