Stanotte (10 aprile) Franz mi è venuto in sogno. E che bel sogno! Così bello ed emozionante che appena desto non ho più dormito (erano le 6 di mattina) e sono corso subito a trascriverlo.

Stavo camminando per la strada quando me lo vedo venire incontro. Ha indosso un impermeabile bianco, tutto abbottonato e con la cintura stretta ai fianchi. È visibilmente più giovane, con i baffi ancora neri come mi piace sempre ricordarlo. Mi guarda dall’altro lato della strada e mi fa un sorriso. “Dove stai andando?” mi chiede. E io: “Da nessuna parte finora, ma adesso lo so, a passeggio con te”. Attraverso la strada e ci abbracciamo. Poi ci prendiamo a braccetto e iniziamo a passeggiare. “Il passo di Franz Riccobono!”, mi dice lui ridendo. Mentre andiamo gli chiedo come va, e se non trova strano che la gente che incrociamo non lo veda, e dicendolo non mi accorgo della stranezza che invece io continui a vederlo come nella sua vita precedente.

Arriviamo in uno spiazzo dove c’è un’edicola, e anche una bancarella di libri. Lo spiazzo è come quello antistante la Scuola Boer, all’inizio di via Palermo, forse si tratta proprio di quello. Io gli chiedo se vuole qualcosa da leggere, e ci avviciniamo all’edicola per vedere cosa c’è esposto. Vedo un numero di LetteraEmme (toh, anche cartacea) e chiedo di comprarlo così da potercelo leggere entrambi. Lui approva, ma è piuttosto interessato a una confezione giocattolo che la signora dell’edicola ha staccato per mostrarla a un cliente. Si tratta di un arco per bambini, con le relative frecce. Un arco molto bello, di legno e ben rifinito, e io lo compro insieme al giornale, felice che lui abbia trovato qualcosa che lo attiri.

Arriva addirittura a voler partecipare alla spesa, mettendo accanto ai miei soldi delle monete dorate un po’ strane, con dei segni impressi sopra, che io gli restituisco subito temendo che l’edicolante si accorga di queste monete apparse dal nulla…

Nello spiazzo c’è un vialetto che separa gli spazi erbosi, e lui piazza al centro della stradina una sorta di brigghiu che fa parte del set, e inizia a tirare d’arco. Io mi avvicino e lo vado felice di questo gioco, ancora più felice quando dopo appena pochi tiri la freccia colpisce e fa cadere il bersaglio. I suoi occhi si illuminano e sento la cara, indimenticabile sua risata.

Per festeggiare gli propongo di prenderci un caffè, dopo avergli chiesto se lui può prendere un caffè. “Certamente”, mi dice. Detto fatto, un bar si materializza ai bordi della piazzetta, e noi ci avviamo. Lui si accomoda in uno dei tavolini fuori del bar e io entro per ordinare i caffè, così – penso – dopo averli presi io sto a leggermi la rivista mentre lui può tornare a divertirsi con l’arco.

Ma ecco che, mentre sto pagando al barista la consumazione prima ancora che i caffè ci vengano serviti, mi squilla il telefono. Schizzo fuori dal bar perché non riesco a capire da dove provenga la telefonata, il mio cellulare è continuamente intasato da fastidiose schermate pubblicitarie. Clicco furiosamente per eliminarle, clicco, clicco….. e mi sveglio.

Triste, per aver lasciato Franz a giocare da solo nella sua nuova dimensione.

Ecco il mio sogno, fedelmente riportato come un film appena visto. Non riesco a trovarci significati razionali, se non la pura nostalgia, il dolore per un’assenza.

Solo la poesia può soccorrermi, e quindi mi rivolgo a Jorge Luis Borges:

Quando gli orologi della mezzanotte elargiranno
un tempo generoso,
andrò più lontano dei rematori di Ulisse
nella regione del sogno, inaccessibile
alla memoria umana.
Da quella regione sommersa recupero residui
che ancora non comprendo;
erbe di botanica elementare,
animali un po’ diversi,
dialoghi coi morti,
volti che in realtà sono maschere,
parole di lingue molto antiche
e talora un orrore non comparabile
a quello che può darci il giorno.
Sarò tutti o nessuno. Sarò l’altro
che ignoro d’essere, colui che ha contemplato
quell’altro sogno, la mia veglia. La giudica,
rassegnato e sorridente.

(El sueño)

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