MESSINA. Immaginate di avere la possibilità, per una settimana, di stare a contatto con persone di quattro o cinque Paesi diversi. Ecco. Ora moltiplicate l’entusiasmo di questa fantasia per cinque: le emozioni sono incalcolabili. È come mi sono sentito io quando mi hanno detto cosa mi sarebbe aspettato questa estate nei mesi di giugno e luglio: cinque scambi giovanili Erasmus+ a Sant’Alessio Siculo. E, ad essere sincero, la realtà ha superato di gran lunga le aspettative: due mesi stracolmi di emozioni fra cui gioia, stupore e, durante quei quattro giorni di riposo a casa fra un progetto e un altro, anche di tristezza.

Se da un lato, infatti, queste esperienze ti investono di emozioni per una settimana, teletrasportandoti su un altro pianeta per sette giorni e facendoti dimenticare che il mondo non è sempre una merda, dall’altro ti lasciano un vuoto quando torni nel mondo appesantito dalla routine, mentre sei piegato sulla tua scrivania a lavorare o a studiare.

Un vuoto che colmi solo ricordando quei momenti, riguardando ogni tanto quelle fotografie buffe sul telefono che i tuoi nuovi amici tornati nella loro parte del mondo ti mandano, sperando di rivederti ancora. E anche tu lo speri. Con qualcuno accade, e sono quelle persone che nonostante la distanza restano lì ad aspettare il giorno in cui potranno aprire le porte di casa per accoglierti. Con altri no, sono solo ti passaggio: ti hanno lasciato qualcosa, ma non hanno più niente da darti.

Ad ogni fine progetto il caro buon vecchio Emanuel Caristi, che ha avuto la pazienza di essere il facilitator di cinque progetti, ci faceva mettere a cerchio con una frase che, dopo sette giorni, diventava un “meme” («Guys, make a circle»), per poi chiederci, a turno, cosa avessimo lasciato agli altri nel corso della settimana, cosa ci portiamo a casa e qual è stato il nostro momento preferito. Può sembrare un’attività da gruppo di alcolisti anonimi, ma alla fine uscivano fuori racconti parecchio divertenti (e talvolta strani), specialmente sui lunghi e (per fortuna) interminabili party notturni.

La verità, però, è che io ho sempre risposto in maniera vaga. Ero ancora all’interno di quello spazio-tempo fuori dalla mia routine in cui l’euforia e l’eccitazione del momento prendevano il sopravvento, senza mai farmi essere abbastanza lucido da riuscire a dare la risposta che la domanda meritava.

Dopo due settimane dalla fine dell’ultima avventura, non so cosa io abbia potuto lasciare agli altri, forse (e spero) buoni ricordi, ma so sicuramente cosa mi sono portato a casa. Potrei fare una lista lunga quanto la Bibbia, ma mi limiterò a riassumere tutto con una parola: vitalità.

Sì. Probabilmente ciò che mi hanno lasciato tutti i ragazzi che ho incontrato a questi progetti e che, involontariamente, ho chiuso in valigia alla fine di ogni settimana è stata quell’energia che rende una massa di ossa e carne una persona meritevole di consumare ossigeno. Quella voglia che spinge ogni essere umano ad affrontare ogni giorno perché ha uno scopo, non per inerzia. Ed è avere uno scopo che dà senso alla vita.

Questi viaggi mi hanno lasciato la consapevolezza di dover fare oggi meglio di ieri, insieme alla determinazione per poterci riuscire. Mi hanno insegnato a gioire di ogni traguardo, ma di non accontentarmi mai fino a quando non si è raggiunta la vetta.

In parole povere, mi hanno dato una motivazione: fare di tutto per sentirmi felice e vitale come durante quei giorni, nonostante la sera “da leoni” e la mattina “da coglioni” (ma sempre con il sorriso stampato sulle labbra).

Il momento più bello invece, non l’ho mai detto, ignorando (volontariamente) la domanda perché a qualsiasi ricordo pensassi riguardo quella settimana mi sembrava sempre troppo banale. Ma sbagliavo: non c’è nulla di banale, e dovevo capirlo quando anche dopo quattro progetti, al quinto continuavo a stupirmi e a sentirmi attratto e ammirato da ciò mi circondava, nonostante spesso alcuni momenti si ripetessero. A non essere gli stessi, però, erano gli attori, e su quel palcoscenico si sono alternati artisti che hanno dato il meglio di sé, mettendo a nudo la propria personalità davanti a ragazzi che nemmeno conoscevamo, cosa che oggi è difficile fare anche con il proprio migliore amico.

Non negherò che le feste la sera (quando eravamo abbastanza sobri da ricordarcele) ci hanno lasciato dei ricordi indelebili, con balli tradizionali e giochi che ogni Paese presentava per farci mettere un piede nella loro nazione, nonostante fosse a migliaia di chilometri di distanza. E non negherò nemmeno che il giro in barca da vippone fino ad Isola Bella con prosecco e musica sia stato uno di quei momenti che mi abbiano fatto sentire più libero. Però, proprio per la voglia di ognuno di mettersi a nudo incuranti di stereotipi e pregiudizi, per me gli attimi più belli sono stati quelli in cui ero me stesso, senza filtri, e gli altri mi hanno potuto ammirare in tutto il splendore.

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