PALERMO. “Dentro o fuori”: il Pd ha chiesto ieri al M5s di dare una risposta entro l’ora di pranzo per confermare o rompere l’alleanza progressista in Sicilia. Una decisione – secondo Ansa Sicilia – che spetterà all’ex premier Giuseppe Conte, che ha in mano il “dossier Sicilia” da giorni. Secondo quanto riportato dall’agenzia di informazione, la situazione di stallo sta provocando diversi problemi ai dem per la definizione delle liste per le regionali (si vota il 25 settembre) e soprattutto sta tenendo sulla graticola Caterina Chinnici, che ha vinto le primarie ma che ha sempre sostenuto che la sua candidatura a governatrice è vincolata appunto all’alleanza che fu fatta per le storiche consultazioni giallorosse. Tant’è che non c’è nemmeno l’ombra della lista civica della Chinnici, e sono in tanti a sostenere che c’è il rischio forte che potrebbe non essere formata. Rimane aperta poi la questione “impresentabili”: Chinnici non vuole candidati rinviati a giudizio nelle liste della coalizione. Il M5s sta andando avanti per la propria strada e non ha preso posizione, Claudio Fava invece ha contestato l’approccio “giustizialista” di questa richiesta mentre nel PD il confronto è esploso, anche se il segretario Anthony Barbagallo pare dare un’apertura, come scrive “La Sicilia”: «Deciderà il Pd». Dopo tre rinvii consecutivi, alle 14 si dovrebbe riunirà la direzione regionale dei Dem proprio per affrontare il nodo delle liste. Ma tutto a questo sembra legato a stretto filo con la risposta di Giuseppe Conte.

Nel frattempo fanno discutere le dichiarazioni di Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone e presidente della Fondazione Falcone «Mi preoccupa il calo di attenzione verso le questioni della legalità che importanti forze politiche hanno mostrato nelle ultime campagne elettorali locali e nazionali. Se da un lato non si è ritenuta una discriminante nella scelta della candidatura alla Presidenza della Regione siciliana la condizione di imputato in un processo delicato, dall’altro si è scelto di non candidare personalità come quella di Piero Grasso che della lotta alla mafia ha fatto una ragione di vita. Non candidare chi ha fatto scelte coraggiose per difendere lo Stato e le istituzioni esponendosi a rischi gravi, ‘escludere’ chi può dare un contributo fondamentale nella politica di contrasto alle mafie è un segnale pericoloso. E sappiamo tutti che le mafie vivono anche di segnali. Parlare e riempirsi la bocca di proclami non basta. Al Paese servono i fatti».

«La mia disponibilità era nota ma nessuno mi ha chiamato e io nella mia vita non ho mai chiesto nulla», ha commentato l’ex presidente del Senato, che il 20 agosto ha partecipato a un dibattito organizzato dall’amministrazione comunale di Ficarra, nel corso del quale ha presentato il suo ultimo libro “Il mio amico Giovanni”. «Sono un uomo delle istituzioni – ha detto – lavoro da 53 anni e posso anche andare in pensione ma di sicuro non smetterò di andare nelle scuole per parlare di legalità con i giovani e per raccontare l’impegno civile e il sacrificio di uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».  (ANSA).

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