MESSINA. Sono trascorsi 22 anni da quando fu trapiantato nel petto del quindicenne Andrea Mongiardo il cuore di Nicholas Green, di otto anni più piccolo.  Per riprendere a pulsare, l’organo del bambino americano ucciso “per errore” dalla ‘ndrangheta ci mise meno di un minuto, con una accelerazione così forte – 160 battiti ogni sessanta secondi – da impaurire lo stesso Andrea,  morto lo scorso 9 febbraio, a 37 anni, a causa di un linfoma. Con il loro gesto d’amore, i genitori del piccolo Nicholas sono riusciti a regalare al ragazzo 22 insperati anni di vita. Ma la soddisfazione più grande è probabilmente quella di aver dato il là “a un incremento della donazione degli organi e a una maggiore consapevolezza etica, toccando la coscienza degli italiani”, come spiega il chirurgo epatobiliare Enrico Gringeri, medico messinese che proprio  in quei giorni stava per lasciare la città dello Stretto per trasferirsi all’Università di Padova, dove i trapianti sono all’ordine del giorno. Proprio un anno fa moriva sotto i suoi occhi una bambina di cinque anni, mentre erano in attesa di un fegato da trapiantare per salvarla. Lo sfogo di Gringeri dopo la morte della sua piccola paziente commosse tutta l’Italia: “Non pensavo potesse avere questa eco”, ammette lui imbarazzato. E preferisce spostarsi sui dati: “I numeri riportati dal Cnt (Centro Nazionale Trapianti) – racconta il chirurgo messinese –  sono molto significativi: da 7.9 donatori per milione di abitanti nel 1994 si passò a 10.1 l’anno successivo fino a raggiungere 24.3 donatori per milione di abitanti nel 2016”. Nella città dello Stretto però non esiste un centro specializzato in trapianti di cuore. Gli unici due, in Sicilia, si trovano infatti a Catania e Palermo. 

La storia di Nicholas Green innalzò il numero di trapianti, salvando molte vite…

Enrico Gringeri

«Parliamo della drammatica vicenda di una famiglia americana che nel settembre del 1994 fu vittima di un fatale equivoco, in seguito al quale il piccolo Nicholas rimase ucciso. Mi preme ripercorre tutta la storia per sottolineare il gesto dei Green. Aveva 7 anni, “un concentrato di lentiggini e sorrisi”, come amava definirlo il padre Reginald, con una grande passione per la storia romana. Per questo motivo i genitori Margaret e Reginald Green organizzarono un viaggio in Italia. Quella notte la macchina dei Green, una Fiat uno, fu scambiata da un gruppo di malviventi affiliati alla ‘ndrangheta per quella di un gioielliere. Nel tentativo di una rapina ne venne fuori una sparatoria in seguito alla quale il piccolo Nicholas fu colpito mortalmente.  La reazione dei Green avrebbe potuto essere di rabbia e odio nei confronti di quel paese in cui il figlio aveva trovato la morte in maniera così violenta e assurda. Tutt’altro, l’amore per Nicholas e per il prossimo sconfisse  la rabbia e la disperazione. Il sentimento di altruismo colmò lo sconforto e il dolore di quei drammatici momenti si trasformò in un impareggiabile gesto d’amore. I Green decisero di donare gli organi di Nicholas, un gesto che ebbe una risonanza internazionale».

Cosa successe in Italia dopo la scelta dei genitori?

«Quello che dai sociologi fu definito come “l’effetto Nicholas”, ovvero l’incremento della donazione degli organi derivato da una maggior consapevolezza sulla donazione.  È evidente che la vicenda di quella famiglia venuta da tanto lontano toccò la coscienza degli italiani. È vero, nel 1994 esistevano già i trapianti e le donazioni, ma la popolazione era ancora diffidente e indifferente nei confronti di questa tematica. Non vi era ancora la reale consapevolezza sull’effetto della donazione degli organi e sulla straordinaria capacità terapeutica di uno strumento come quello del trapianto.  Una delle dichiarazioni del padre che mi colpì il giorno della donazione fu: “Vedendo Nicholas disteso sul letto e privo di vita, osservai le sue lentiggini e mi sarebbe piaciuto che potessero essere donate anche quelle”».

Cosa significò per lei questa vicenda?

«Questa storia segnò la mia vita privata e in qualche modo anche quella professionale. Proprio in quei giorni mi trasferivo a Padova da Messina per completare i miei studi universitari, era il primo ottobre del 1994. I media amplificavano la notizia della tragica morte di quel bimbo americano avvenuto proprio in quel Policlinico Universitario, in quella mia Messina che avevo abbandonato qualche giorno prima. Intanto io iniziavo a frequentare il reparto di Clinica Chirurgica I del professor Davide D’Amico al Policlinico Universitario di Padova. In quella struttura, tra le varie branche della chirurgia generale, si eseguivano anche trapianti di fegato e il mio già enorme desiderio di dedicarmi a questa attività fu amplificato dalla decisione dei genitori di Nicholas di donare gli organi».

E adesso?

«Adesso faccio parte di uno splendido gruppo diretto dal professor Umberto Cillo che, oltre a dedicarsi all’aspetto clinico e scientifico delle malattie del fegato e dei trapianti epatici, rivolge grande attenzione all’aspetto sociale. La nostra associazione “30 Nodi per il Fegato” è particolarmente attiva proprio su tematiche riguardanti la donazione degli organi».

Cosa ha pensato quando ha saputo della morte del giovane paziente a cui fu trapiantato il cuore di Nicholas?

«Questa notizia mi ha riportato indietro di 22 anni e in un attimo ho rivissuto quei drammatici momenti. Adesso, che sono padre, posso comprendere l’immenso dolore dei genitori nel vedersi strappare il proprio figlio in una circostanza così assurda e rivisitare sotto un’altra luce quei terribili attimi vissuti dai genitori al momento della comunicazione della morte e la successiva decisione di donare gli organi. È stato un grande insegnamento per me come, credo, per tantissimi altri».    

Reginald Green ha detto che con la morte del paziente trapiantato di cuore, è come se Nicholas fosse morto un’altra volta…

«Vorrei rispondere che Nicholas non morirà mai come non morirà mai l’enorme gesto compiuto dai genitori. Nicholas in realtà non ha donato solo i suoi 7 organi, ma ha donato la consapevolezza che donando si possono salvare tante vite e l’amplificazione di questo gesto ha sicuramente salvato ben oltre 7 vite». 

A soli sette anni…

«In un video in cui si chiedeva a Nicholas cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande alla sua risposta “tutti i mestieri del mondo” mi piace pensare che ci sia davvero riuscito a farli tutti e se non altro ha permesso a tantissima gente di vivere una nuova vita». 

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