La lissa

 

 

Prendi un uomo, togli da lui tutte le azioni e otterrai lo stereitipo del messinese: il cittadino medio che ritiene socialmente sconveniente impegnarsi a portare a compimento qualsiasi cosa, anche l’impegnarsi, persino l’atto stesso di campare.

Perché è un atto, e bisogna sforzarsi per portarlo a compimento. E quindi si lascia sopravvivere. Fa qualcosa, ma con le mani in tasca, di malavoglia. Rimane tiepido quando potrebbe e dovrebbe entusiasmarsi e guarda con sospetto chi lo fa. Ma anche chi ce la fa. È l’atto del fare che lo destabilizza, gli leva il terreno sotto i piedi, mette in crisi la sua visione esistenziale, e in ultima analisi lo rende sospettoso nei confronti di chiunque dimostri vitalità, nel senso grammaticale dell’essere vivo.

In pochi altri posti al mondo si riesce a vivere la vita svuotandola completamente delle azioni. E infatti è strano che sulla carta la città sia ultracattolica, perché probabilmente sarebbe più corretto seguisse i dettami dell’induismo, visto che a queste latitudini il bramino che medita guardandosi crescere la lanugine dentro l’ombelico è paradigma di vita, nozione dottrinale. Non faccio, quindi sono. Il vivere per sottrazione. Il ritmico trasformare ossigeno in anidride carbonica, e ritenere che sia sufficiente a chiamarla vita.

 

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Salvo
Salvo
7 Giugno 2017 10:48

Bel pezzo.
Forse, sarebbe da aggiungere un sesto punto, che è l’abitudine al brutto: l’abusivismo, le colate di cemento, la distruzione del (pochissimo) verde, le cose fatte a metà o fatte “addamanera”.
O, probabilmente, sarebbe bastato il primo punto per racchiudere tutto.