Rocco Chinnici e il “pool antimafia”
Una Fiat 126 verde imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico. È il 29 luglio del 1983 quando l’esplosione improvvisa colpisce il magistrato cinquantottenne Rocco Chinnici. Accanto al suo corpo riverso inerme sull’asfalto, i cadaveri del maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, dell’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e del portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. Ad azionare il detonatore della morte fu il sicario della mafia Antonino Madonia. Unico superstite della strage, l’autista Giovanni Paparcuri, soccorso da due dei figli di Chinnici, ancora ragazzi, fra i primi a giungere sul posto.
Una scia di sangue che avrà un seguito cinque anni dopo, il 25 settembre del 1988, a Caltanissetta, con l’uccisione del giudice Antonino Saetta (e di suo figlio Stefano), che si era contraddistinto per le dure pene inflitte ai sicari del magistrato nel corso del processo concluso con 12 condanne all’ergastolo e quattro condanne a 18 anni di reclusione per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa Nostra.
Nato a Palermo nel 1925, Rocco Chinnici iniziò ad occuparsi di mafia nel 1970, quando gli fu assegnato il caso della cosiddetta “strage di viale Lazio”, divenendo Consigliere Istruttore nel 1979, anno in cui fu ucciso il magistrato Cesare Terranova. Il primo di una lunga serie di delitti eccellenti che portarono alla morte del capitano dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Basile e del procuratore Gaetano Costa, amico di Chinnici, che in seguito a questo attentato ebbe l’idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell’Ufficio, nota in seguito con il nome di pool antimafia, che avrebbe gettato le basi, anni dopo, per il cosiddetto maxi processo di Palermo. Il posto di Chinnici, a capo del pool, fu preso dal giudice nisseno (ma fiorentino d’adozione) Antonino Caponnetto.
A far parte della sua squadra alcuni giovani magistrati, fra i quali Giovanni Falcone, Gioacchino Natoli e Paolo Borsellino, con il quale condivideva il giorno di nascita, il 19 gennaio, e con il quale condividerà la tremenda sorte.
«Magistrato tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, consapevole dei rischi cui andava incontro quale Capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Barbaramente trucidato in un proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificava la sua vita al servizio della giustizia, dello Stato e delle istituzioni” (Medaglia d’oro al valor civile)